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Sicurezza sul lavoro: quali sono le novità per formazione, vigilanza dei preposti e sospensione dell’impresa

Dicembre 18, 2021 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

La legge di conversione del decreto Fisco-Lavoro definisce una “miniriforma” del Testo Unico Sicurezza sul Lavoro. L’intervento, volto a rilevare l’urgenza di un miglioramento delle evidenze prevenzionistiche, prevede l’implementazione delle attività formative e di addestramento, la riformulazione complessiva del potere di sospensione dell’impresa per lavoro sommerso e per gravi violazioni di sicurezza, l’individuazione più stringente delle funzioni di vigilanza e controllo del preposto, l’estensione all’Ispettorato Nazionale del Lavoro delle stesse competenze di vigilanza e ispezione riconosciute alle Aziende Sanitarie Locali, nonché il rilancio del ruolo degli organismi paritetici. Per garantire l’osservanza delle nuove disposizioni è prevista l’applicazione di pesanti sanzioni a carico dei datori di lavoro.La definitiva conversione in legge del decreto Fisco-Lavoro (D.L. n. 146/2021), consegna, nella disamina degli artt. 13 e 13 bis, un quadro regolatorio di rilievo innovatore in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, attraverso modifiche puntuali su ben 14 articoli (artt. 7, 8, 13, 14, 18, 19, 26, 37, 51, 52, 55, 56, 79 e 99) del D.Lgs. n. 81/2008 (Testo Unico Sicurezza sul Lavoro), di cui viene integralmente sostituito anche l’Allegato I, con l’obiettivo evidente di innalzare il livello complessivo delle tutele prevenzionistiche sostanziali.L’ampiezza dell’intervento normativo, peraltro, può leggersi come una “miniriforma” del Testo Unico, con precipuo riferimento al Titolo I, volto a rilevare l’urgenza di un miglioramento delle evidenze prevenzionistiche, operando contemporaneamente su cinque pilastri:- una implementazione delle attività formative e di addestramento;- l’individuazione più stringente delle funzioni di vigilanza e controllo e delle correlate responsabilità del preposto;- l’estensione all’Ispettorato Nazionale del Lavoro delle stesse competenze di vigilanza e ispezione in precedenza riconosciute soltanto alle Aziende Sanitarie Locali;- la riformulazione complessiva del potere di sospensione dell’impresa per lavoro sommerso e per gravi violazioni di sicurezza;- il rilancio del ruolo degli organismi paritetici.

Formazione e addestramento

Quanto alla formazione, di rilievo appaiono le modifiche apportate ai commi 2 e 7 dell’art. 37 del D.Lgs. n. 81/2008 per prevedere che anzitutto che entro il 30 giugno 2022 la Conferenza permanente Stato-Regioni adotti un Accordo nel quale si accorpino, rivisitati e modificati, gli Accordi attuativi del Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro in materia di formazione in modo da garantire:- l’individuazione della durata, dei contenuti minimi e delle modalità della formazione obbligatoria a carico del datore di lavoro;- la specificazione delle modalità della verifica finale di apprendimento obbligatoria per i discenti di tutti i percorsi formativi e di aggiornamento obbligatori in materia di salute e sicurezza sul lavoro e delle verifiche di efficacia della formazione durante lo svolgimento della prestazione lavorativa;Altro profilo di novità importante il coinvolgimento in piena equiparazione del datore di lavoro ai dirigenti e ai preposti per l’obbligo di ricevere una formazione adeguata e specifica e un aggiornamento periodico in base ai compiti in materia di salute e sicurezza del lavoro svolti, esattamente secondo quanto stabilito nell’Accordo adottato in Conferenza Stato-Regioni.In merito all’addestramento si stabilisce in primo luogo che l’addestramento consiste in una prova pratica, per l’uso corretto e in sicurezza di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, dispositivi, anche di protezione individuale oltreché nella esercitazione applicata nel caso di procedure di lavoro in sicurezza, con la previsione espressa dell’obbligo di tracciare in apposito registro (anche informatizzato) gli interventi di addestramento effettuati (art. 37, comma 5, D.Lgs. n. 81/2008).Per assicurare l’adeguatezza e la specificità della formazione e l’aggiornamento periodico dei preposti, le attività formative di essi devono essere svolte interamente con modalità in presenza e ripetute, con cadenza almeno biennale e in ogni caso quando si rende necessario per l’evoluzione dei rischi già esistenti o per l’insorgenza di nuovi rischi (art. 37, comma 7-ter, D.Lgs. n. 81/2008).A rinforzare tale previsione la miniriforma porta con sé l’applicazione della pena alternativa dell’arresto da due a quattro mesi o dell’ammenda da 1.474,21 a 6.388,23 euro.

Preposto

La legge di conversione del D.L. n. 146/2021 interviene sugli artt. 18 e 19 del D.Lgs. n. 81/2008 per meglio specificare le funzioni del preposto, che nel contesto “uno e trino” del sistema di gestione aziendale della sicurezza sul lavoro assume ora un ruolo di primaria delicatezza e di assoluta centralità (accanto a datore di lavoro e dirigente).Si stabilisce l’obbligo per datore di lavoro e dirigenti (che organizzano e dirigono le attività secondo le attribuzioni e competenze conferite) di individuare il preposto o i preposti per l’effettuazione delle attività di vigilanza stabilite dall’art. 19 del Testo Unico, affidando ai contratti collettivi di lavoro la possibilità di stabilire la misura dell’emolumento spettante al preposto per lo svolgimento delle attività di vigilanza affidate, ma anche prevedendo che il preposto non possa subire alcun pregiudizio per lo svolgimento della propria attività (art. 18, comma 1, lettera b-bis), D.Lgs. n. 81/2008). Tale misura di tutela è rafforzata dalla previsione della sanzione penalearresto da due a quattro mesi o ammenda da 1.500 a 6.000 euro.Il richiamato art. 19, comma 1, del Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro viene modificato per prevedere che il preposto ha il dovere di:- sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori degli obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro;- sovrintendere e vigilare sul corretto uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione.D’altro canto, si stabilisce che quando il preposto rileva comportamenti non conformi in merito alle disposizioni e alle istruzioni impartite dal datore di lavoro e dai dirigenti rispetto alle misure, ai dispositivi e agli strumenti protezione collettiva e individuale, lo stesso preposto è obbligato a intervenire per modificare il comportamento non conforme, provvedendo a fornire le necessarie indicazioni di sicurezza. Se le disposizioni impartite dal preposto non vengono attuate e persiste l’inosservanza rilevata, il preposto deve interrompere l’attività del lavoratore e informare i superiori diretti. Per tale specifica funzione obbligatoria del preposto il D.L. n. 146/2021 convertito prevede l’applicazione della pena dell’arresto fino a due mesi o dell’ammenda da 491,40 a 1.474,21 euro.Inoltre, al preposto è fatto obbligo di interrompere temporaneamente l’attività e, comunque, segnalare tempestivamente al datore di lavoro e al dirigente le non conformità rilevate, se rileva deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e di ogni condizione di pericolo rilevata durante la sua attività di vigilanza: anche tale funzione è presidiata dalla sanzione penale alternativa dell’arresto fino a due mesi o dell’ammenda da 491,40 a 1.474,21 euro.La rinnovata importante investitura di tutela preventiva e contestuale ulteriormente riconosciuta dalla norma al preposto si muove anche nei riguardi specifici delle attività svolte in regime di appalto o di subappalto, stabilendo che i datori di lavoro appaltatori e subappaltatori hanno l’obbligo di indicare espressamente e nominativamente al committente il personale dagli stessi individuato per svolgere le funzioni di preposto (art. 26, comma 8-bis, D.Lgs. n. 81/2008). La rilevanza di tale obbligo di designazione e informativo è evidenziata dalla circostanza che l’inosservanza è penalmente sanzionata con la pena alternativa dell’arresto da due a quattro mesi o dell’ammenda da 1.500 a 6.000 euro.

Sospensione dell’impresa

La riscrittura dell’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008 pone una fondamentale attenzione sui nuovi presupposti per l’adozione del provvedimento a contrasto del lavoro irregolare e a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, come sottolineato dall’INL nelle circolari n. 3/2021 e n. 4/2021.Leggi anche Sospensione dell’attività imprenditoriale: requisiti, limiti e nuove procedure.Anzitutto per i casi di sospensione per lavoro irregolare oltre all’ipotesi di rilevazione di almeno il 10% dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro occupato senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, al momento dell’accesso ispettivo, la legge di conversione prevede anche l’ipotesi di personale occupato come lavoratori autonomi occasionali in assenza delle condizioni richieste dalla normativa, con particolare riguardo al nuovo obbligo di comunicazione preventiva all’ITL introdotto dallo stesso art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008 novellato.In questo modo rilevano i lavoratori subordinati, i collaboratori coordinati e continuativi, i soci lavoratori di cooperativa e i tirocinanti di formazione e orientamento senza preventiva comunicazione di assunzione, nonché i lavoratori autonomi occasionali per i quali non sia stata effettuata la nuova comunicazione preventiva, con l’estensione alla generalità dei soggetti operanti in azienda (esclusi soltanto i coadiuvanti familiari e i soci d’opera delle società diverse dalle cooperative).In secondo luogo, riguardo all’ampiezza della sospensione in materia di salute e sicurezza il nuovo Allegato I al D.Lgs. n. 81/2008, che elenca le gravi violazioni da cui scaturisce il provvedimento degli organi ispettivi (INL e ASL), si completa con il ripristino del riferimento al rischio d’amianto, che era stato eliminato dal D.L. n. 146/2021, per cui torna confermata la gravità della mancata notifica all’organo di vigilanza prima dell’inizio dei lavori che possono comportare il rischio di esposizione all’amianto, accanto agli altri inadempimenti già elencati nell’Allegato, così come illustrati dall’INL nella circolare n. 4/2021.D’altra parte, riguardo alla tutela dei lavoratori oggetto del provvedimento di sospensione per gravi violazioni di sicurezza o per lavoro irregolare nella legge di conversione si stabilisce espressamente che a fronte del necessario allontanamento degli stessi dal lavoro (come confermato dalla circolare n. 3/2021 dell’INL), il datore di lavoro è obbligato a corrispondere integralmente la retribuzione e a versare i relativi contributi.

Ispettorato del lavoro

Sempre in prospettiva di rafforzamento delle tutele prevenzionistiche, il D.L. n. 146/2021 ricolloca dopo l’Ispettorato Nazionale del Lavoro nella pienezza dei poteri ispettivi in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con un intervento legislativo coraggioso, sebbene rispettoso del dettato costituzionale di cui all’art. 117 Cost.Il legislatore della “miniriforma”, infatti, riscrive i contenuti essenziali dell’art. 13 del D.Lgs. n. 81/2008 allo scopo di prevedere che la vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sia svolta in modo paritario dall’Azienda sanitaria locale competente per territorio e dall’Ispettorato nazionale del lavoro mediante le sue sedi territoriali. A sottolineare la portata rivoluzionaria e l’importanza storica dell’intervento operato, vale la pena ricordare che il precedente testo normativo assegnava la titolarità principale della vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro alle Aziende sanitarie locali (in linea con il D.P.R. n. 616/1977 e la l. n. 833/1978), mentre all’INL spettava una competenza (concorrente con le ASL) soltanto nelle seguenti materie: attività nel settore delle costruzioni edili o di genio civile; impianti ferroviari; sorgenti naturali di radiazioni ionizzanti; lavori mediante cassoni in aria compressa; lavori subacquei.

Organismi paritetici

Infine, si prevede l’istituzione del repertorio degli organismi paritetici, con specifica definizione dei criteri identificativi, sentendo preventivamente le associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale per il settore di appartenenza.Inoltre, il nuovo art. 51, comma 8-bis, D.Lgs. n. 81/2008 stabilisce che gli organismi paritetici devono comunicare annualmente, contestualmente all’Ispettorato del Lavoro e all’INAIL, i dati relativi a:- imprese che hanno aderito al sistema degli organismi paritetici e quelle che hanno svolto l’attività di formazione organizzata dagli stessi;- rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali;- rilascio delle asseverazioni di adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza (D.Lgs. n. 231/2001, art. 30 del D.Lgs. n. 81/2008).Peraltro, i dati comunicati dagli organismi paritetici verranno utilizzati ai fini della individuazione di criteri di priorità nella programmazione della vigilanza da parte dell’Ispettorato del lavoro e di criteri di premialità nell’ambito della determinazione degli oneri assicurativi da parte dell’INAIL, tenendo conto del fatto che le imprese aderiscono volontariamente al sistema paritetico che ha come obiettivo essenziale l’efficacia prevenzionistica.

Agenti biologici: fattori di rischio cancerogeno occupazionale

Settembre 20, 2021 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Le tipologie di “danno” potenzialmente conseguenti all’esposizione ad agenti biologici contemplate dal D.lgs. 81/2008 sono le infezioni, le allergie e le intossicazioni. Tuttavia, l’esposizione a virus, batteri, parassiti, funghi può comportare anche l’insorgere di tumori nell’uomo.

Le tipologie di “danno” potenzialmente conseguenti all’esposizione ad agenti biologici contemplate dal d.lgs. 81/2008 sono le infezioni, le allergie e le intossicazioni. La pan- demia di SARS-CoV-2 esplosa nel 2019 e tuttora in corso ha portato bruscamente in evidenza l’impatto sociale dell’esposizione umana agli agenti biologici, in particolare a quelli di natura infettiva. 

Sono emersi, infatti, in tutta la loro portata, gli effetti delle caratteristiche di trasmissibilità di tali agenti che, attraverso la cosiddetta catena del contagio, possono raggiungere per via diretta o indiretta l’ospite umano suscettibile di ammalarsi, diffondendo l’infezione nello spazio e nel tempo senza distinzione tra ambiente di vita e ambiente di lavoro.


L’esposizione a virus, batteri, parassiti, funghi può tuttavia comportare anche l’insorgere di tumori nell’uomo.


In ambito occupazionale, il legislatore ha associato l’effetto cancerogeno dell’esposi- zione professionale alla sola categoria di agenti di rischio chimici contemplata dal Titolo IX del d.lgs. 81/08. 

Tuttavia, undici agenti biologici, appartenenti a virus, batteri ed endoparassiti umani, compresi nell’Allegato XLVI del Titolo X “Agenti biologici” del d.lgs. 81/08, sono stati classificati dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) come cancerogeni di tipo 1 (agenti, cioè, sicuramente cancerogeni).


Il presente lavoro intende evidenziare gli agenti biologici inclusi nell’Allegato XLVI del d.lgs. 81/08 e nell’Allegato III della Direttiva 2019/1833 di prossimo recepimento, clas- sificati da IARC come cancerogeni o sospetti tali sulla base di evidenze cliniche e/o sperimentali, per una disamina dei potenziali effetti conseguenti all’esposizione. 

Nelle conclusioni, inoltre sono proposte alcune riflessioni sulle possibili iniziative da intraprendere per approfondire il fenomeno nel contesto occupazionale.

INDICE DEL DOCUMENTO INAIL

Introduzione
Obiettivi dello studio
Review della letteratura scientifica
a) Batteri 
b) Virus 
c) Funghi 
d) Endoparassiti 
Rischio occupazionale
Conclusioni
Bibliografia
Normativa di riferimento

Aprile 21, 2020 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

COVID-19: come affrontare in sicurezza la ripartenza della fase 2?

Un rapporto elaborato da una task force coordinata dal Politecnico di Torino affronta le condizioni necessarie relative al progetto “Imprese aperte, lavoratori protetti”. Gli obiettivi, l’applicazione e gli esempi di prevenzione del contagio. 

Torino, 21 Apr – In questi giorni si comincia a parlare sempre di più della cosiddetta Fase 2, quella che dovrebbe prevedere la riapertura delle attività produttive. Ed in questa situazione sono utili quei progetti che forniscano linee guida e indicazioni precise su come gestire, in sicurezza, questa eventuale riapertura.

Il primo progetto che presentiamo oggi attraverso un corposo Rapporto, preparato da un gruppo di lavoro, da una task force di esperti delle università piemontesi e di altre università e centri di ricerca coordinati dal Politecnico di Torino, si chiama “ Imprese aperte, lavoratori protetti”.

Il principio base del progetto – come raccontato sul sito del Politecnico – è “il contenimento del contagio, che viene ottenuto con strategie di prevenzione, informazione, monitoraggio. Il fondamento del progetto è il concetto che ‘ognuno protegge tutti’”.

Il Rapporto dal titolo “Emergenza COVID-19: imprese aperte, lavoratori protetti” presenta cinque diversi capitoli:

  • Il progetto
  • Mitigazione del rischio di contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro (escluse le strutture sanitarie) e nei mezzi di trasporto verso/da il posto di lavoro
  • Privacy e welfare
  • Definizione di adeguate misure di supporto economico e materiale alle imprese
  • Gruppo di lavoro.

Con l’articolo ci soffermiamo sul progetto e sul rapporto ricordando che tali linee guida saranno applicate in varie aziende e realtà che si sono già candidate per la sperimentazione.

Il progetto, la riapertura delle attività e i contesti applicativi

Il Rapporto indica che obiettivo del progetto è “stabilire un quadro di riferimento procedurale, organizzativo e tecnologico volto a minimizzare le probabilità di trasmissione del contagio tra persone che non presentano sintomi, così da consentire un rientro controllato, ma pronto sui luoghi di lavoro e di aggregazione sociale, non appena i dati epidemiologici lo consentiranno”. E questo – continua il documento – nella convinzione che “la massima protezione delle persone nel loro luogo di lavoro sia tanto imprescindibile quanto una rapida riapertura delle attività economiche del Paese quale elemento chiave per la loro competitività se non addirittura per la loro stessa sopravvivenza, specialmente nel caso delle piccole e medie imprese”.

In questo senso le linee guida e le prassi definite dovranno “abbinare alla garanzia del conseguimento di un efficace controllo dei rischi di contagio, la praticabilità tecnica ed economica in tempi rapidi a qualsiasi stadio delle filiere produttive, dalle piccole alle grandi imprese”.

In particolare il documento che è da considerarsi in stretto collegamento con il “ Protocollo condiviso” del 14 marzo 2020 e di analoghe linee guida relative al settore edile e al settore dei trasporti, vuole trasformare le indicazioni contenute nel Protocollo “in prassi e metodologie applicative che possano favorire una rapida implementazione nei contesti di riferimento”, ed in particolare “nelle attività produttive, siano esse attualmente attive o sospese, in una prospettiva temporale che dipenderà dalla durata della emergenza SARS-CoV-2”.

Inoltre quanto elaborato dal progetto “deve consentire a ogni azienda di poterne declinare le prassi e le misure suggerite nella propria specificità. Il Protocollo succitato al suo punto 13 prevede per altro che in ogni azienda si costituisca un comitato tra datori di lavoro e rappresentanze dei lavoratori, ove presenti, o con i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali (RLST), che ne monitori l’applicazione”.

Riguardo ai contesti applicativi si indica che i metodi del progetto “sono adatti a luoghi chiusi di aggregazione sociale controllata, in cui è possibile prevedere la quantità e l’identità delle persone attese e i tempi di ingresso, stazionamento ed uscita. Preferibilmente, a luoghi in cui le persone tornano con scadenza regolare e frequentano lo stesso gruppo sociale”.

Tra questi “in ordine di priorità applicativa:

  • Luoghi di lavoro non sanitari (aziende manifatturiere, magazzini, aziende di servizio, ecc.)
  • Altri luoghi di aggregazione sociale con biglietto nominativo (ad es.: teatri, concert halls, ecc.) o assimilabili a tali (musei e cinematografi con prenotazione dell’ingresso).
  • Scuole di ogni ordine e grado.

Invece solo alcuni dei metodi del progetto risultano adatti a “luoghi aperti (parchi, concerti all’aperto) o luoghi ad accesso libero o comunque non completamente tracciato (supermercati, cinema senza posto nominativo, alberghi, ristoranti, aeroporti). Eventuali approfondimenti successivi potranno coinvolgere queste realtà come pure luoghi destinati all’attività sportiva (palestre, palazzetti, piscine) dove ci sono oltre agli utenti e agli sportivi lavoratori diretti (allenatori, medici, fisioterapisti) ed appalti collegati (pulizie, guardiania, ecc.). Ancora più sfidanti i contesti dei festival o dei trattenimenti danzanti, pregiudicati dal vincolo stesso della ‘distanza interpersonale’ e dall’impiego di dispositivi di protezione individuale”, che sono strumenti importanti per la riduzione del rischio di trasmissione del contagio”.

I principi generali del progetto, la valutazione dei rischi e la formazione

Riguardo ai principi generali e in relazione al concetto che “ognuno protegge tutti”, ciascun individuo “partecipa alle azioni di contenimento grazie ad un comportamento consapevole: utilizza correttamente presidi di minimizzazione del contagio (es. mascherine, cuffie, guanti, occhiali) e modalità organizzative del lavoro, di cui è adeguatamente informato; si sottopone a triage multidimensionale (temperatura, analisi biochimiche, ecc.), ed eventualmente adotta sistemi digitali di supervisione dei propri spostamenti volti ad evitare inutili assembramenti”.

Si indica poi che, funzionali alla prevenzione e al contenimento della trasmissione del contagio in ambito lavorativo, “potrebbe risultare utile classificare i luoghi di lavoro in base a criteri specifici di densità di occupazione e distanze interpersonali da mantenersi, e i mezzi di mitigazione del rischio di trasmissione del contagio da adottarsi. Ne potranno derivare cambiamenti organizzativi, di modalità e di condizioni di lavoro”.

E di conseguenza “andranno aggiornati i Documenti di Valutazione dei Rischi incluso quello da interferenze (DUVRI), in considerazione di potenziali rischi associati ad appalti di servizi, di opere, di cantieri o di somministrazione, oltre che ai trasporti e alla logistica in generale, ai servizi interni alle società, alle modalità di svolgimento delle attività produttive e/o di erogazione dei servizi anche all’interno della medesima organizzazione”.

Dovranno poi essere predisposti “adeguati piani di formazione e informazione del personale a ogni livello, come pure di prevenzione, vigilanza e controllo dell’applicazione delle prescrizioni. La sorveglianza sanitaria svolta dal Medico Competente, già presente o nominato allo scopo, dovrà proseguire rispettando le misure igieniche contenute nel Protocollo anti-contagio e nelle indicazioni del Ministero della Salute”. Inoltre è opportuno “anche rendere disponibili specifiche azioni di supporto psicologico e welfare o a livello aziendale o, specialmente per le piccole imprese, secondo un’ottica consortile. Dato il regime emergenziale tali azioni andrebbero supportate economicamente dallo Stato per tramite delle Unità di Crisi locali”.

Esempi di prevenzione e mitigazione dei rischi di contagio

Si segnala poi che la prevenzione del contagio “viene basata su metodi già noti, la cui applicazione viene adeguata al singolo luogo di lavoro dopo averne definito le caratteristiche principali in termini di affollamento e flussi di accesso e stazionamento”.

Sono riportati vari esempi.

Distanze interpersonali: “per ciascuna delle aree frequentate (ad esempio: atrio di accesso, spogliatoi e servizi igienici, reparto di lavoro, area pausa, mensa, area fumatori, ascensori) deve essere definito il numero massimo di persone che possono essere presenti, in base alla disponibilità di dispositivi di prevenzione del contagio, allo spazio disponibile, al tempo di permanenza e alla attività svolta. Ad esempio, è prassi attualmente prescritta nelle disposizioni governative garantire la rarefazione del personale e il rispetto di una distanza interpersonale minima di 1 metro. Ad esempio, si potrà:

  • Consentire una maggiore densità di occupazione in aree di transito (corridoio)
  • Consentire meno densità in aree di sosta ‘critiche’ in cui le persone potranno non indossare mascherina (area pausa, mensa, area fumatori)
  • Prevenire gli assembramenti per attese (fila per accedere alla timbratrice, ressa ai cancelli, fila alla biglietteria del teatro) con una pianificazione degli accessi e dei turni di lavoro”.

Buone pratiche di igiene:

  • “consentite ed incoraggiate mettendo a disposizione tutti i mezzi necessari. Ad esempio: distributori di gel igienizzante in punti di distribuzione di facile accesso, prescrizione di lavaggio mani prima e dopo accesso al proprio posto di lavoro o l’incontro con altri lavoratori; ecc.
  • attività specifiche di pulizia giornaliera e di sanificazione periodica nei luoghi identificati di alto transito o alla fine dei turni di lavoro nelle aree con alternanza di squadre di lavoro. Ad esempio una pulizia può essere prescritta quando in un luogo (cabina di guida, spogliatoio, ufficio, postazioni di una linea produttiva, ecc.) vengono a turnare diversi occupanti (singoli o gruppi/squadre), effettuata con sanificante per le superfici soggette a contatto diretto con la pelle delle persone”.

Organizzazione del lavoro, degli ingressi e degli spazi (possibili azioni):

  • “All’ingresso della azienda o ente: es. misura temperatura corporea e richiesta di autocertificazione su assenza di eventuali contatti avuti con pazienti affetti da COVID; richiesta di compilazione di un diario dei sintomi e dei contatti;
  • Adozione di dispositivi di monitoraggio non invasivo (telecamere IR, telecamere ‘intelligenti’) e possibilità di segnalazione, via intranet, della propria condizione di salute nel rispetto dei vigenti principi di rispetto della privacy;
  • Riduzione fino alla eliminazione delle riunioni in presenza;
  • Prescrizione di distanziamenti; dove possibile utilizzo di spazi lasciati stabilmente liberi dallo smart working per ampliare la fruibilità di spazi a bassa occupazione (spogliatoi, posti pasto, uffici, ecc.);
  • Cambiamenti nella turnistica e dove possibile segregazione dei lavoratori in squadre, individuabili con facilità ad esempio per via di gilet di colore diverso per evitare il rischio di interferenza, che non vengono mai in contatto o scambiano membri tra loro per contenere gli effetti di un eventuale contagio;
  • Minimizzazione dell’uso promiscuo di attrezzi e apparecchiature;
  • Distribuzione di pasti in lunchbox da consumarsi in luoghi all’aperto o nel proprio ufficio e non in mense collettive dove il rischio di rilassamento dei comportamenti controllati, per l’impossibilità di utilizzo delle mascherine e per la naturale tendenza alla convivialità, è intrinsecamente elevato.
  • Uso delle prenotazioni per il ritiro di materiali da magazzino (fatti trovare all’ora concordata nel luogo di consegna concordato) per ridurre gli stazionamenti in zone a potenziale assembramento e i contatti interpersonali”.

Uso di dispositivi:

  • “devono essere selezionati i dispositivi più adeguati al tipo di attività svolta, con principale attenzione al concetto di protezione personale e sociale. Fatte salve aree a occupazione particolarmente rarefatta, ciascuno indossa il dispositivo più adatto a proteggere sé stesso dall’ambiente e gli altri oppure gli altri e l’ambiente da sé stesso, a seconda delle condizioni dello spazio in cui lavora e delle mansioni assegnate.
  • Secondo quanto condiviso nel protocollo aziendale, i lavoratori che accedono devono normalmente indossare come dispositivo di prevenzione della trasmissione del contagio una mascherina del tipo ” mascherina chirurgica” tipo I, oppure mascherine filtranti le cui performance minime è opportuno siano garantite per le quali è allo studio un protocollo in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità.
  • Eventualmente, solo in casi specifici, uso di maschere facciali dispositivi di protezione individuale FFP2/FFP3, guanti e cuffie per capelli (operatori sanitari, addetto alla rilevazione della temperatura all’ingresso, guardiania, cassieri, squadre di emergenza, ecc.).
  • Possibilità di fornire ai lavoratori ‘kit’ di protezione individuale. Il conferimento di kit (es. 2- 4 mascherine per uso giornaliero e gel per la igienizzazione personale) può presentare il vantaggio di coprire con efficacia la prevenzione dal contagio su eventuali mezzi collettivi di trasporto, secondo prassi che in questo caso vanno comunque decise dall’ente gestore dei trasporti”.

Sorveglianza sanitaria e prioritarizzazione del rientro del personale sui luoghi di lavoro:

  • “È raccomandato che l’organizzazione del personale prenda in considerazione la presenza di ‘soggetti fragili’ esposti a un rischio potenzialmente maggiore nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2, per qualsivoglia ragione indicata dalla OMS (presenza di una o più patologie in corso, età avanzata, ecc.).
  • Risulta dunque fondamentale l’attività di collaborazione del Medico Competente, in particolar modo nella gestione di quei soggetti portatori di patologie attuali o pregresse con eventuali idoneità lavorative con prescrizioni, che li rendano suscettibili di conseguenze particolarmente gravi in caso di contagio.
  • Sono previste specifiche politiche e misure di welfare per quei lavoratori che in ragione di quanto sopra sono impossibilitati a svolgere le proprie mansioni, né possono per ragioni di sicurezza o esigenze produttive essere adibiti a mansioni diverse. In tema di tutela della privacy vengono individuate responsabilità e predisposte linee guida per contemperare le esigenze di sicurezza e di tutela della salute con quelle di protezione dei dati personali”.

Coronavirus: alcuni consigli dell’ISS

Marzo 16, 2020 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Una serie di raccomandazioni sul ricambio d’aria, i prodotti di pulizia e i sistemi di ventilazione e le indicazioni di come devono essere smaltiti i rifiuti in modo sicuro.

L’Istituto Superiore della Sanità rende disponibili alcune indicazioni sulla gestione sicura della quotidianità, diventata particolare in questo periodo di Coronavirus.

Coronavirus: consigli per gli ambienti chiusi

Dai consigli sul ricambio d’aria in casa, negli uffici, nelle farmacie e in tutti i luoghi chiusi all’uso dei prodotti detergenti per sanificare le superfici. Dagli impianti di ventilazione alla pulizia regolare dei filtri. Dalla manutenzione ai dosaggi dei detergenti.

Ecco una serie di raccomandazioni sul ricambio d’aria, i prodotti di pulizia e i sistemi di ventilazione, a cura del Gruppo di Studio Nazionale Inquinamento indoor dell’Istituto Superiore di Sanità.

Utili sempre ma in particolare in questo momento in cui l’igiene dell’aria e delle superfici deve essere più accurata.

Come smaltire i rifiuti domestici

Eliminare i rifiuti in questo periodo di emergenza sanitaria richiede nuove regole soprattutto per chi è in isolamento domiciliare poiché risultato positivo al coronavirus. In quarantena obbligatoria, per esempio, i rifiuti non devono essere differenziati, vanno chiusi con due o tre sacchetti resistenti e gli animali domestici non devono accedere nel locale in cui sono presenti i sacchetti.

Se invece non si è positivi la raccolta differenziata può continuare come sempre, usando però l’accortezza, se si è raffreddati, di smaltire i fazzoletti di carta nella raccolta indifferenziata.

Lavoro intermittente e lavoro straordinario, interpello n.6/2018

Ottobre 29, 2018 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

L’Associazione Nazionale delle Imprese di Sorveglianza Antincendio (A.N.I.S.A.) ha formulato istanza di interpello al fine di conoscere il parere di questa Amministrazione in ordine alla possibilità di non applicare al lavoratore intermittente la disciplina contenuta nel decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 in materia di orario di lavoro nel caso venga effettuato lavoro straordinario eccedente le 40 ore settimanali.
In particolare, viene chiesto se in tale ipotesi sia possibile erogare unicamente il controvalore per la prestazione svolta come se si fosse in regime di orario ordinario di lavoro e non anche la maggiorazione per lavoro straordinario prevista dalla contrattazione collettiva.
Acquisito anche il parere dell’Ispettorato nazionale del lavoro e dell’Ufficio legislativo di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
Al riguardo si evidenzia che il decreto legislativo n. 66 del 2003 definisce lavoro straordinario quello prestato oltre il normale orario di lavoro pari a 40 ore settimanali, o altro definito dai contratti collettivi, senza prevedere una durata massima giornaliera dell’orario di lavoro. Lo stesso decreto legislativo stabilisce che il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario deve essere contenuto, con la
possibilità per i contratti collettivi di regolamentare le modalità di esecuzione delle prestazioni di lavoro straordinario, fermi restando i limiti di durata massima settimanale dell’orario di lavoro.
Con riferimento al campo di applicazione della disciplina in materia di orario di lavoro, si osserva che, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, punto a) del citato d.lgs. n. 66, è orario di lavoro “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”. Tale disciplina, quindi, si applica a tutte le forme di lavoro
subordinato con riferimento ai tempi in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro, fatte salve le esclusioni espressamente contemplate agli articoli 2 e 16 del medesimo decreto legislativo n. 66 del 2003.
Il decreto legislativo n. 81 del 2015, analogamente al previgente decreto legislativo n. 276 del 2003, nel disciplinare l’istituto del lavoro a chiamata prevede che il trattamento economico del lavoratore intermittente sia regolato dal principio di proporzionalità, ossia deve essere determinato in base alla prestazione effettivamente eseguita, e dal principio di non discriminazione. L’articolo 17 del medesimo d.lgs. n. 81 del 2015 stabilisce, al comma 1, che il lavoratore intermittente non debba ricevere per i periodi lavorati un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello e, al comma 2, che nei suoi confronti trovino
applicazione in misura “proporzionale” gli istituti normativi tipici del rapporto di lavoro subordinato, per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, delle ferie, dei trattamenti per malattia e infortunio, congedo di maternità e parentale.

In proposito, la circolare di questo Ministero n. 4/2005, nel fornire i primi chiarimenti e indicazioni operative con riferimento alla previgente disciplina del lavoro intermittente, aveva, da un lato, evidenziato come il legislatore non abbia imposto alcun obbligo contrattuale in merito all’orario ed alla collocazione temporale della prestazione lavorativa al fine di lasciare tale determinazione
all’autonomia contrattule delle parti, coerentemente con l’impostazione flessibile e modulabile della disciplina del contratto di lavoro intermittente. Dall’altro, la medesima circolare aveva ribadito a proposito del lavoro intermittente che si tratta “[…] pur sempre di un contratto di lavoro dipendente, ragione per cui la libera determinazione delle parti contraenti opera, quantomeno con riferimento alla
tipologia con obbligo di risposta alla chiamata del datore di lavoro, nell’ambito della normativa di legge e di contratto collettivo applicabile, con specifico riferimento alla disciplina in materia di orario di lavoro.”.
Alla luce del quadro normativo sopra riportato, la facoltà concessa dalla legge al datore di lavoro di attivare il contratto di lavoro intermittente rispetto ad esigenze e tempi non predeterminabili, non consente di escludere l’applicazione delle disposizioni in materia di lavoro straordinario e delle relative maggiorazioni retributive, nel rispetto delle disposizioni del decreto legislativo n. 66 del 2003
e di quanto eventualmente previsto dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro.

I quesiti sul decreto 81: RSPP e coordinatore?

Ottobre 22, 2018 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Quesito

Con riferimento al quesito pubblicato sul quotidiano del 5/9/2018 riguardante i crediti che l’Accordo Stato-Regioni del 7/7/2016 ha riconosciuto al RSPP se vuole svolgere l’attività di coordinatore per la sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, vorrei un chiarimento in merito. Nell’Allegato III di tale Accordo sono stati indicati, nell’esempio ivi riportato, i moduli di formazione che un RSPP formatosi con l’Accordo Stato-Regioni del 26/1/2006 deve frequentare per conseguire il titolo per svolgere il ruolo di coordinatore per la sicurezza. Ma quel RSPP, per potere svolgere l’attività di coordinatore, deve essere comunque in possesso anche degli altri requisiti di cui all’art. 98 comma 1 del D. Lgs 81/2008?

Risposta

Il lettore che ha formulato il quesito, facendo riferimento a quanto indicato nell’Allegato III dell’ultimo Accordo Stato-Regioni del 7/7/2016 sulla formazione degli ASPP/RSPP, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 19/8/2016, nel quale sono stati riportati i crediti formativi riconosciuti ai vari operatori di sicurezza già in possesso di una formazione prevista dal D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. e che vogliono frequentare altri corsi di formazione obbligatori ai sensi dello stesso decreto legislativo, e facendo riferimento in particolare ai crediti formativi riconosciuti al RSPP che vuole svolgere l’attività di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione (CSP) e di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione (CSE), chiede sostanzialmente se con il riconoscimento di tali crediti può svolgere direttamente tale attività anche senza essere in possesso degli altri requisiti di cui all’art. 98 comma 1 del D. Lgs 81/2008.

 

Il dubbio espresso dal lettore è sorto, come del resto dallo stesso indicato, con riferimento a quanto riportato nell’Allegato III dell’Accordo Stato-Regioni del 7/7/2016 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 19/8/2018 e precisamente in calce alla pagina 68 nella quale, dopo la tabella di equiparazione fra la formazione acquisita e quella da acquisire, è stato indicato, con una espressione non molto felice e comunque a titolo di esempio di applicazione della tabella stessa, che “un RSPP, formato con l’accordo Stato-Regioni del 26/01/2006, che vuole conseguire il titolo per svolgere il ruolo di Coordinatore per la Sicurezza” è esonerato dal frequentare il modulo giuridico previsto per la formazione del CSP/CSE dall’Allegato XIV del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. se ha frequentato il modulo A di cui all’Accordo del 26/1/2006 precisando che lo stesso deve comunque frequentare i restanti moduli tecnico (52 ore), metodologico/organizzativo (16 ore) e pratico (24 ore).

Normativa e formazione: le regole per formare i lavoratori

Febbraio 12, 2018 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Quali sono le indicazioni vigenti per le aziende, i formatori e gli operatori in merito alla formazione alla sicurezza e salute dei lavoratori in Italia?

 

Per ricordarlo parliamo oggi di quanto contenuto nell’ Accordo Stato/Regioni del 21 dicembre 2011 per la formazione dei lavoratori ai sensi dell’articolo 37, comma 2, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.

E lo facciamo anche alla luce delle integrazioni e modifiche apportate dall’ Accordo Stato-Regioni del 7 luglio 2016 e in relazione ad alcune interessanti risposte della Commissione Interpelli prevista dall’articolo 12 comma 2 del Testo Unico in materia di salute e sicurezza nel lavoro.

 

Ricordiamo che l’Accordo del 2011, ai sensi dell’articolo 37, comma 2, del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, disciplina “la durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione, nonché dell’aggiornamento, dei lavoratori e delle lavoratrici come definiti all’articolo 2, comma 1, lettera a), dei preposti e dei dirigenti, nonché la formazione facoltativa dei soggetti di cui all’articolo 21, comma 1, del medesimo D. Lgs. n. 81/08. La applicazione dei contenuti del presente accordo nei riguardi dei dirigenti e dei preposti, per quanto facoltativa, costituisce corretta applicazione dell’articolo 37, comma 7, del D. Lgs. n. 81/08. Nel caso venga posto in essere un percorso formativo di contenuto differente, il datore di lavoro dovrà dimostrare che tale percorso ha fornito a dirigenti e/o preposti una formazione ‘adeguata e specifica’”.

Rimandando a futuri articoli l’eventuale approfondimento di quanto riportato dagli accordi in merito alla formazione di dirigenti e preposti, vediamo di riportare la definizione di lavoratore contenuta nel D.Lgs. 81/2008, una definizione che ricomprende anche realtà lavorative particolari (soci lavoratori, tirocinanti, stagisti, volontari, …):

Articolo 2 – Definizioni

1. Ai fini ed agli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto legislativo si intende per:

a) «lavoratore»: persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari. Al lavoratore così definito è equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell’ente stesso; l’associato in partecipazione di cui all’articolo 2549(N), e seguenti del Codice civile; il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento di cui all’articolo 18 della Legge 24 giugno 1997, n. 196(N), e di cui a specifiche disposizioni delle Leggi regionali promosse al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro o di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro; l’allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato alla strumentazioni o ai laboratori in questione; i volontari del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco e della Protezione Civile; il lavoratore di cui al decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, e successive modificazioni;

Quali sono i requisiti dei docenti?

 

Per rispondere a questa domanda possiamo fare direttamente riferimento a quanto contenuto nell’ Accordo Stato-Regioni del 7 luglio 2016 che non solo individua i requisiti della formazione dei responsabili e degli addetti del servizio di prevenzione e protezione, ma che modifica e integra vari aspetti normati dagli accordi del 2011.

Nell’Accordo del 2016, ampliando quanto già previsto negli accordi del 2011, si indica che “in tutti i corsi obbligatori di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, fatti salvi quelli nei quali i requisiti dei docenti siano già previsti da norme specifiche, i docenti devono essere in possesso dei requisiti previsti dal decreto interministeriale 6 marzo 2013, emanato in attuazione dell’articolo 6, comma 8, lettera m-bis), del D.Lgs. n. 81/2008, entrato in vigore il 18 marzo 2014”.

 

Ricordiamo che il decreto interministeriale contiene diversi criteri articolati in requisiti minimi per garantire nel docente la presenza di tre elementi fondamentali: conoscenza, esperienza e capacità didattica. Elementi che prevedono la combinazione di diversi aspetti teorici e pratici, di requisiti di studio e di esperienza, in coerenza con l’area tematica oggetto della docenza.

 

Segnaliamo anche che, sempre con riferimento all’Accordo del 2016, il datore di lavoro in possesso dei requisiti per lo svolgimento diretto dei compiti del servizio di prevenzione e protezione di cui all’articolo 34 del d.lgs. n. 81/2008, “può svolgere, esclusivamente nei riguardi dei propri lavoratori, la formazione di cui all’accordo sancito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano nella seduta del 21 dicembre 2011 relativo alla individuazione dei contenuti della formazione dei lavoratori, dei dirigenti e dei preposti, anche se non in possesso del requisito relativo alla capacità didattica stabilito dal decreto interministeriale 6 marzo 2013”.

 

I percorsi formativi per i lavoratori

 

Come riportato anche nell’articolo “ Normativa e formazione: moduli generali e specifici per i lavoratori”, la formazione dei lavoratori prevede un modulo di formazione generale con concetti in tema di prevenzione e sicurezza sul lavoro, della durata di 4 ore e uguale per tutti i settori ATECO. Costituisce un credito formativo permanente, cioè un credito formativo che rimane per tutta la vita professionale del lavoratore, ed è consentito l’utilizzo della modalità e-learning.

Mentre il modulo di formazione specifica riguarda i rischi riferiti alle mansioni, i possibili danni e le conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda. Ed è dunque evidente come non possano essere proposti corsi di formazione specifica validi per tutti i lavoratori, ma gli argomenti dei corsi devono essere adeguati, come indicato sopra, alle attività specifiche dei lavoratori e alle problematiche caratteristiche del settore o comparto dell’azienda.

 

Il modulo di formazione specifica ha una durata differenziata in base al settore ATECO di appartenenza dell’azienda e non costituisce un credito formativo permanente, quindi è soggetto ad aggiornamento.

 

In definitiva questa è la durata minima complessiva, come riportata nell’Accordo del 2011, dei corsi di formazione per i lavoratori, in base alla classificazione dei settori:

  • 4 ore di Formazione Generale + 4 ore di Formazione Specifica per i settori della classe di rischio basso: TOTALE 8 ore;
  • 4 ore di Formazione Generale + 8 ore di Formazione Specifica per i settori della classe di rischio medio: TOTALE 12 ore;
  • 4 ore di Formazione Generale + 12 ore di Formazione Specifica per i settori della classe di rischio alto: TOTALE 16 ore.

 

Ricordiamo che ATECO è una tipologia di classificazione delle aziende sulla base dell’attività economica che consente l’attribuzione di uno specifico codice da parte della Camera di Commercio. E i codici ATECO permettono di suddividere – con specifico riferimento all’Allegato 2 “Individuazione macrocategorie di rischio e corrispondenze ATECO 2002-2007” dell’Accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011 – le aziende sulla base di tre diversi livelli di rischio consentendo di elaborare percorsi formativi specifici.

 

Si può utilizzare la formazione e-learning per i rischi specifici?

 

Una novità riguardo all’uso della modalità e-learning nel modulo di formazione specifica è contenuta nell’Accordo Stato-Regioni del 2016 dove si indica che “nelle aziende inserite nel rischio basso, così come riportato nella tabella di cui all’allegato II dell’accordo del 21 dicembre 2011, è consentito il ricorso alla modalità e-learning, nel rispetto delle disposizioni di cui all’allegato II e a condizione che i discenti abbiano possibilità di accesso alle tecnologie impiegate, familiarità con l’uso del computer e buona conoscenza della lingua utilizzata, per l’erogazione della formazione specifica dei lavoratori di cui all’accordo sancito sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano nella seduta del 21 dicembre 2011 relativo alla individuazione dei contenuti della formazione dei lavoratori, dei dirigenti e dei preposti. Tale indicazione vale anche per la formazione specifica dei lavoratori che, a prescindere dal settore di appartenenza, non svolgono mansioni che comportino la loro presenza, anche saltuaria, nei reparti produttivi, così come indicato al primo periodo del paragrafo 4 ‘Condizioni particolari’ dell’accordo del 21 dicembre 2011. A tal fine si precisa che la formazione specifica per lavoratori deve essere riferita, in ogni caso, all’effettiva mansione svolta dal lavoratoree deve essere pertanto erogata rispetto agli aspetti specifici scaturiti dalla valutazione dei rischi. Pertanto per le aziende inserite nel rischio basso non è consentito il ricorso alla modalità e-learning per tutti quei lavoratori che svolgono mansioni che li espongono ad un rischio medio o alto”.

Per un approfondimento di quanto indicato dall’Accordo Stato Regioni del 2016 sul tema dell’e-learning si può fare riferimento all’articolo di PuntoSicuro “ Accordo Stato Regioni, l’uso dell’e-learning e il progresso tecnico”.

 

Sottolineiamo, inoltre, la possibilità di attivare progetti formativi sperimentali regionali, individuati cioè dalle Regioni e dalle Province autonome a livello sperimentale, per la formazione specifica in e-learning dei lavoratori (anche per lavoratori di aziende classificate a rischio medio o alto) e dei preposti.

 

Proprio in relazione al tema delle mansioni e della formazione può essere interessante ricordare anche la risposta data dalla Commissione per gli interpelli con l’ Interpello n. 4/2015 del 24 giugno 2015 presentato nell’articolo “ Interpello: valutazione, formazione ed effettiva mansione”.

 

La Commissione indica che “nel caso in cui un lavoratore in possesso di formazione per lo svolgimento di una determinata attività venga adibito allo svolgimento di singole particolari mansioni, ricomprese nell’attività principale per la quale è stata erogata la formazione, la stessa può essere riconosciuta valida solo se all’interno del percorso formativo i rischi specifici, relativi alle particolari mansioni, sono stati adeguatamente trattati”.

E in ogni caso, con riferimento alla necessità di una formazione che sia erogata in relazione agli effettivi livelli e tipologie di rischio, “qualora i compiti affidati ad un lavoratore lo espongano di fatto a rischi diversi ed ulteriori rispetto a quelli che siano già stati oggetto di valutazione e di conseguente formazione, saranno necessarie sia una nuova valutazione dei rischi che una correlata formazione integrativa”.

 

Concludiamo questo approfondimento delle regole per la formazione dei lavoratori riportando, con riferimento all’Accordo del 21 dicembre 2011 (ex art. 37 del Testo Unico), alcune brevi indicazioni relative alla modalità di organizzazione della formazione con riferimento ai lavoratori stranieri.

 

Non solo si dovrà prevedere “la declinazione dei contenuti tenendo presenti: le differenze di genere, di età, di provenienza e lingua, nonché quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro”. Ma “nei confronti dei lavoratori stranieri i corsi dovranno essere realizzati previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare e con modalità che assicurino la comprensione dei contenuti del corso di formazione, quali, ad esempio, la presenza di un mediatore interculturale o di un traduttore”. E anche ai fini di “un più rapido abbattimento delle barriere linguistiche, onde garantire l’efficacia e la funzionalità dell’espletamento del percorso formativo e considerata l’attitudine dei sistemi informatici a favorire l’apprendimento, potranno essere previsti nei confronti dei lavoratori stranieri specifici programmi di formazione preliminare in modalità e-Learning”.

Consigli pratici per gestire lo stress nelle piccole imprese

Settembre 12, 2017 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Nelle micro e piccole aziende a volte i rischi psicosociali sono sottovalutati e si tende ad attribuire “maggiore importanza ai conflitti interpersonali piuttosto che a problemi legati all’organizzazione del lavoro”. E nelle piccole aziende è generalmente il datore di lavoro che “crea l’ambiente di lavoro”, e il suo atteggiamento può rendere più difficile “discutere di stress lavoro correlato”. Senza dimenticare le difficoltà “nell’accesso alla formazione e all’informazione” in queste tipologie di aziende.

 

A parlare in questi termini del rischio stress lavoro correlato e dei rischi specifici delle micro e piccole imprese, è un documento prodotto in relazione al Progetto REST@Work – Reducing stress at work, un progetto portato avanti dall’Unione Italiana del Lavoro ( UIL) che vede una interessante “alleanza strategica” tra le parti interessate (datori di lavoro e loro associazioni, rappresentanti dei lavoratori, lavoratori e loro organizzazioni sindacali). Il progetto, finanziato dall’Unione Europea, è finalizzato a condurre “un’indagine quantitativa e qualitativa sulle misure, le disposizioni e le politiche attuate in merito allo Stress Lavoro-Correlato”.

 

Si indica che un approccio efficace alle Pmi implica “una reale presa in considerazione delle loro specificità quando si lancia un messaggio di prevenzione, ed un messaggio efficace implica l’impostazione di un rapporto interpersonale forte, nel cui ambito si realizzeranno gli scambi necessari a creare un clima di fiducia. Ovvero: ‘Fare prevenzione con’, questo è il principio perché si attivi quella condivisione sui temi della prevenzione nel territorio – tra imprenditori e loro Associazioni, lavoratori/loro rappresentanti e Organizzazioni sindacali – che può promuovere la crescita di una comunità responsabilizzata e consapevole in cui i singoli imprenditori possano ritrovare una condizione motivante al ‘cambiamento di atteggiamento’, una sorta di ‘impegno pubblico’ che va ben al di là degli obblighi e delle disposizioni di legge e del timore delle relative sanzioni”.

 

E riguardo alle argomentazioni, “si dovrà insistere sugli elementi positivi, quali la possibilità di ridurre le assenze per malattia, le prospettive di miglioramento d’immagine dell’azienda ed il benessere dei lavoratori. È invece necessario trattare con accortezza gli argomenti negativi, ed in particolare quelli che insistono sui costi degli infortuni sul lavoro (una PMI può benissimo esserne colpita, ma, di media, essa ha un infortunio ogni quattordici anni, quindi non può ragionare sull’esperienza)”.

Inoltre “bisogna proporre servizi di supporto che seguano nel tempo l’azienda, servizi personalizzati, che tengano conto delle specificità dell’azienda e del suo responsabile. Ovvero: il ‘coinvolgimento preliminare delle aziende in una fase di informazione e assistenza’ è l’elemento che permette di attuare una gradualità dell’intervento, ‘scaglionando le azioni’”.

In particolare “gli incontri di approfondimento o di formazione in cui le aziende vengono preventivamente coinvolte rappresentano situazioni del tipo ‘Inserimento in un gruppo di pari’ poiché, quelli che si assomigliano sono più propensi a modificare il loro punto di vista rispetto a una questione, riprenderanno in considerazione il loro modo di pensare e faranno un’analisi dei loro pregressi comportamenti spontanei.

Ovvero: ‘Cura nel tempo e affiancamento costante delle aziende’, questa modalità rappresenta una delle più efficaci strategie di supporto”.

 

In definitiva per migliorare la “cultura della sicurezza” aziendale/dell’imprenditore e “modificare i comportamenti di tutti i soggetti, che costituiscono questa unità economica e di vita, le azioni intraprese vanno distribuite nel tempo, organizzandosi adeguatamente per assicurare la continuità del rapporto”. Infatti “considerando come i cambiamenti comportamentali hanno bisogno di rinforzi e condivisione, dal momento che si tratta di stabilire dei cambiamenti duraturi nell’azienda, difficilmente si può sperare di ottenere dei risultati con un intervento estemporaneo. L’azione deve idealmente iscriversi in una strategia e nella continuità nel tempo. Il contatto va mantenuto in un modo o nell’altro. Il messaggio andrà ripetuto sotto altre forme, oppure verrà ripetuto con comunicazioni gradualmente arricchite di contenuti”.

 

Il documento riporta anche un “Questionario Check-list Stress lavoro-correlato (CSL)” con domande relative agli aspetti positivi e negativi del lavoro in tre ambiti:

– Cultura organizzativa. Queste, a livello esemplificativo, alcune domande: il lavoro assegnato dà soddisfazione? Si è coinvolti quando c’è da prendere decisioni? Si è coinvolti nei cambiamenti che riguardano l’attività lavorativa? Si viene apprezzati quando si svolge un buon lavoro?

– Carico di lavoro. Riprendiamo anche in questo caso alcune domande: si avverte una sensazione costante di pressione per fare di più? Si devono svolgere compiti diversi dalla propria competenza? Viene assegnato troppo lavoro da fare in poco tempo?

– Qualità delle relazioni e sostegno. Le domande: il rapporto con il superiore è “buono”? Il rapporto con i colleghi è “buono”? Si può contare sul sostegno del diretto superiore? Si può contare sul sostegno dei colleghi?

 

Si indica che una volta che l’analisi dei questionari è stata effettuata è “utile promuovere un gruppo di discussione per assicurare che i risultati rispecchino la realtà aziendale; inoltre, questo gruppo può essere molto utile nel generare soluzioni e idee per gli interventi”.

E il documento riporta alcuni suggerimenti, dei possibili interventi per le tre principali dimensioni della Check-list.

 

Dimensione 1 – Cultura organizzativa:

a. “Semplici misure, come dire ‘grazie’ al momento opportuno;

b. Formare manager nel dare feedback positivi;

c. Identificare se c’è troppa varietà di compiti o varietà insufficiente;

d. Prendere in considerazione la crescita orizzontale (ad esempio nuove competenze, più autonomia, la diversificazione) in un lavoro se la crescita verticale (livello successivo nella gerarchia organizzativa) non è possibile;

e. Fornire le informazioni opportune per la comprensione delle motivazioni all’origine dei cambiamenti;

f. Garanzia di un supporto adeguato al lavoratore durante la fase di cambiamento per sviluppare in lui la consapevolezza del suo impatto sull’attività lavorativa;

g. Offrire informazioni adeguate per consentire ai lavoratori di comprendere il proprio ruolo e le proprie responsabilità;

h. Assicurarsi che ognuno abbia una chiara descrizione del proprio lavoro / la responsabilità che venga riesaminata regolarmente e aggiornata”.

 

Dimensione 2- Carico di lavoro:

a. “Fornire formazione/informazione per la sensibilizzazione sullo stress dei dipendenti;

b. Consentire una certa flessibilità nel bilanciamento vita privata/lavoro;

c. Sottocarico e sovraccarico di lavoro (lavoro poco sfidante o risorse insufficienti di tempo, personale o attrezzature);

d. Verificare se le scadenze sono fissate dai clienti interni o esterni e quanto gli obiettivi siano irrealistici;

e. Ricercare un modo più intelligente (e non maggiore) di lavorare;

f. Assicurarsi che i dipendenti sappiano con chiarezza le priorità (per gli individui e per il reparto);

g. Incoraggiare i dipendenti a essere onesti circa la fattibilità di scadenze;

h. Intervenire precocemente (almeno entro 4-6 settimane) per ridurre le assenze a lungo termine”.

 

Dimensione 3 – Qualità delle relazioni e sostegno:

a. “Formare manager per fornire ai lavoratori un feedback puntuale e costruttivo;

b. Organizzare incontri settimanali regolari tra manager e dipendenti per discutere questioni pratiche/operative;

c. Mettere il lavoratore nella condizione di poter condividere le informazioni relative al proprio lavoro;

d. Consultare i dipendenti circa il modo migliore per comunicare i piani per la gestione delle attività;

e. Dedicare più tempo a festeggiare il successo (pranzi informali, ritrovi fuori ufficio, così come più inserimento formale nelle newsletter / comunicazioni a livello aziendale);

f. Istituire sistemi (o migliorare quelli esistenti) che favoriscano la segnalazione, da parte dei lavoratori, di insorgenza di comportamenti inaccettabili;

g. Selezionare le squadre che uniscono competenza ed esperienza con buone relazioni interpersonali;

h. Realizzazione di politiche scritte per molestie / bullismo con comunicazione ai dipendenti;

i. Incoraggiare i dipendenti a riconoscere i singoli contributi degli altri e dei benefici per tutta la squadra;

j. Disporre job rotation (ove possibile) per consentire ai dipendenti di comprendere al meglio i ruoli reciproci”.

 

Presentata da Inail la Relazione annuale 2016

Luglio 06, 2017 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

ROMA – 642mila denunce di infortunio nel 2016, +0,66% rispetto al 2015, 419mila infortuni riconosciuti, di questi il 19% avvenuto con mezzo di trasporto o in itinere. 1.104 denunce con esito mortale, 618 sul lavoro di questi 332 fuori dall’azienda. Casi mortali scesi del 12,7% rispetto al 2015. È stata presentata questa mattina dall’Inail a Montecitorio la Relazione annuale 2016. Infortuni sul lavoro malattie professionali, vigilanza e finanziamenti per la sicurezza nei luoghi di lavoro.

Infortuni e malattie professionali

Pari a 11 milioni sono state le giornate di inabilità derivate dagli infortuni sul lavoro, media di 84 giorni per infortuni che hanno causato menomazioni, 21 giorni senza menomazione.

60.260 sono state le malattie professionali denunciate all’Inail, circa 1.300 in più rispetto al 2015, +30% sul 2012. Riconosciute il 33%, ovvero 16.557, il 4% è in istruttoria. 45mila le persone che hanno denunciato malattia professionale, il 37% con causa riconosciuta.

Per quanto riguarda il tipo di malattia denunciata: 64% sistema osteomuscolare, 14% sistema nervoso, 9% orecchio e apofisi mastoide, 4% tumori. 1.416 le malattie asbesto correlate riconosciute. 1.297 i lavoratori deceduti dopo malattia professionale riconosciuta, 375 di questi per silicosi/asbestosi.

Rapporti assicurativi vigilanza

3 milioni 760mila le posizioni assicurative territoriali censite nel 2016, 754 mila rendite al 31 dicembre 2016, 17 mila per inabilità di nuova costituzione. 20.876 le aziende controllate, di queste l’87,6% irregolare. Il 73% dei controlli è stato effettuato nel terziario, il 23% nell’industria. 57.790 lavoratori regolarizzati, di questi 5.007 in nero.

Responsabilità del RSPP in caso di valutazione generica dei rischi

Luglio 05, 2017 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

La Cassazione è nuovamente intervenuta in tema di 81/08 e Salute e Sicurezza sul Lavoro e in particolare sulle responsabilità del RSPP, con una recente sentenza* depositata lo scorso 1° giugno.

Il caso ha riguardato un infortunio sul lavoro avvenuto alcuni anni fa in una industria del Trentino-Alto Adige, che è costato un dito ad un lavoratore intento a lavorare ad una pressa.

Nel giudizio di primo grado il Tribunale aveva condannato sia il Consigliere Delegato e sia il RSPP:

  • il Consigliere Delegato in qualità di Datore di Lavoro ovvero di vertice del sistema di sicurezza sul lavoro, per negligenza imprudenza o colpa specifica ai sensi dell’art. 2087 c.c. nonché per violazione della normativa sulla prevenzione infortuni, per aver omesso di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature di lavoro conformi alle specifiche disposizioni e quindi idonee ai fini della salute e della sicurezza, in quanto la macchina dove è avvenuto l’incidente era priva di dispositivi che impedissero alle mani dei lavoratori di venire a contatto con i movimenti del punzone;
  • il Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione per avere omesso di individuare i rischi connessi alla macchina e di elaborare le misure preventive e protettive relative al macchinario e le relative procedure di sicurezza.

La Corte d’Appello su ricorso dei suddetti confermava con sentenza del 10/05/2016 la condanna per il Consigliere Delegato, mentre accoglieva il ricorso del RSPP prosciogliendolo dall’accusa.

Contro la Sentenza d’Appello ricorrevano in Cassazione il Consigliere Delegato e il P.M., il primo contro la sua sentenza di colpevolezza, il secondo contro il proscioglimento del RSPP.

Responsabilità del Consigliere Delegato

Il Consigliere Delegato è ricorso in Cassazione sostanzialmente perchè a suo avviso è stato erroneamente individuato quale vertice del sistema di sicurezza sul lavoro della società.

Nel DVR aziendale la figura dell’AD (o CEO), a sua detta, non è nemmeno presa in considerazione ed anzi il documento manca dell’individuazione dei ruoli dell’organizzazione aziendale che debbono provvedere all’adozione delle misure di sicurezza.

Nel DVR infatti si elencano tutti i soggetti coinvolti nel “sistema sicurezza” così come prevede il D. lgs. 81/08 tra i quali figurano il datore di lavoro, il RSPP, il rappresentante delegato dal datore di lavoro, il referente interno per la sicurezza, ma non figura affatto l’Amministratore Delegato.

La Cassazione ha ritenuto però inammissibile il suo ricorso in quanto presentato oltre i termine, pertanto la sua condanna quale vertice aziendale del sistema di sicurezza sul lavoro è stata confermata.

Responsabilità del RSPP

Nel secondo caso invece, la Cassazione conferma la sentenza di proscioglimento del RSPP ritenendo infondato il ricorso del P.M.

Per la Cassazione infatti è giusta l’osservazione della Corte d’Appello che, in fase di giudizio, ha ritenuto che il DVR predisposto dal RSPP conteneva sufficiente indicazione ed individuazione del rischio presente nel reparto laddove veniva indicato un rischio per la pericolosità intrinseca delle presse aggravato dalla inidoneità dei dispositivi di protezione.

La responsabilità del RSPP era quindi limitata in quanto aveva giustamente indicato la pericolosità dei macchinari presenti in azienda, e con i quali il lavoratore si è infortunato, anche se in maniera generica e non specifica per ogni macchinario.

Lo stesso aveva inoltre sollecitato il Datore di Lavoro a porre in essere le misure per eliminare o ridurre al minimo le possibilità di incidenti.

Infatti nella sentenza di secondo grado si legge:

può affermarsi che attraverso il DVR vi è stata segnalazione al datore di lavoro idonea a sollecitarne i poteri di intervento per eliminare la situazione di rischio, sollecitazione alla quale il datore di lavoro non ha evidentemente reagito.