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Politiche Imprenditoriali , Societarie e Sicurezza
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Le regole sugli impianti di climatizzazione degli edifici

Maggio 13, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

L’art. 3 c. 2 e succ. del Dpr 16 aprile 2013, n. 74*, in vigore dal 27 luglio 2013, riguarda i valori massimi della temperatura ambientale.

In particolare, durante il funzionamento dell’impianto di climatizzazione estiva, la media ponderata delle temperature dell’aria, misurate nei singoli ambienti raffrescati di ciascuna unità immobiliare, non deve essere minore di 26°C – 2°C di tolleranza per tutti gli edifici.

“Il mantenimento della temperatura dell’aria negli ambienti entro i limiti fissati è ottenuto con accorgimenti che non comportino spreco di energia”. Gli edifici adibiti a ospedali, cliniche o case di cura e assimilabili, compresi quelli adibiti a ricovero o cura di minori o anziani, le strutture protette per l’assistenza e il recupero dei tossico-dipendenti e di altri soggetti affidati a servizi sociali pubblici, sono esclusi dall’obbligo del mantenimento dei limiti sopra detti, limitatamente alle zone riservate alla permanenza e al trattamento medico dei degenti o degli ospiti.

Per gli edifici adibiti a piscine, saune e assimilabili le autorità comunali possono concedere deroghe ai limiti di temperatura dell’aria, qualora elementi oggettivi o esigenze legati alla specifica destinazione d’uso giustifichino temperature diverse di detti valori.

Anche il c. 5 dell’art. 3 del Dpr 74 prevede che le autorità comunali possano concedere deroghe ai limiti di temperatura dell’aria negli ambienti per gli edifici adibiti ad attività industriali, artigianali e assimilabili, purchè si verifichi almeno una delle seguenti condizioni:

a) le esigenze tecnologiche o di produzione richiedano temperature diverse dai valori limite;
b) l’energia termica per la climatizzazione degli ambienti derivi da sorgente non convenientemente utilizzabile in altro modo.

L’art.6 del Dpr 74, disciplina la materia di esercizio, conduzione, controllo, manutenzione dell’impianto termico e il rispetto delle disposizioni di legge in materia di efficienza energetica che sono affidati al responsabile dell’impianto (o terzo delegato).

Le operazioni di controllo ed eventuale manutenzione dell’impianto (art. 7) devono essere eseguite da ditte abilitate conformemente alle prescrizioni e con la periodicità contenute nelle istruzioni tecniche per l’uso e la manutenzione rese disponibili dall’impresa installatrice dell’impianto  Il controllo dell’efficienza energetica e le ispezioni degli impianti termici sono argomento rispettivamente dell’art. 8 e dell’art. 9 del DPR 74/2013.

Sicurezza antincendio: linee guida per la valutazione dei rischi

Maggio 13, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

download (4)Un nuovo progetto realizzato dal Dipartimento dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile indirizzato ai datori di lavoro e in particolare ai nuovi adempimenti di legge in materia di sicurezza e prevenzione antincendio.

Sulla sicurezza antincendio e sulla valutazione dei rischi i punti fermi, come quelli offerti dalle linee guida prodotte dal Dipartimento dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile, sono sempre molto importanti per le aziende e per rispondere ai principali quesiti sul tema. Riprendiamo a questo proposito la notizia, apparsa sul sito del Dipartimento, della pubblicazione di un nuovo documento.

Sicurezza antincendio & datori di lavoro – Linee guida per la valutazione dei rischi” è il nuovo progetto realizzato dal Dipartimento dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile, in collaborazione con il FEI (Fondo Europeo per l’Integrazione dei Paesi Terzi).
 
Si tratta del terzo progetto realizzato in sinergia fra i due Dipartimenti e si configura come la giusta conclusione di un percorso iniziato con il progetto ” Casa Sicura” – dedicato alla sicurezza in casa e alla prevenzione dei più diffusi e pericolosi incidenti domestici – e seguito dal progetto “Sicurezza al lavoro” – dedicato alla sicurezza dei lavoratori. Quest’ultimo progetto, invece, è indirizzato ai datori di lavoro, in particolare ai nuovi adempimenti di legge in materia di sicurezza e prevenzione antincendio. Come i precedenti, ha come target primario le popolazioni extracomunitarie ma ovviamente regole e consigli sono validi anche per le popolazioni comunitarie.
 
Sicurezza antincendio & datori di lavoro” è fruibile in otto lingue (Italiano, Inglese, Francese, Spagnolo, Albanese, Arabo, Cinese e Ucraino) e diffuso tramite due supporti: uno tradizionale cartaceo – un opuscolo di 76 pagine – ed uno multimediale, ovvero un’applicazione fruibile da questo link.
 
L’applicazione è nata con l’obiettivo di facilitare la divulgazione delle misure necessarie per la sicurezza del lavoro disposte dalla legislazione italiana. Associata al testo dell’opuscolo, è concepita per far verificare ai datori di lavoro la propria conoscenza degli adempimenti obbligatori.
 
Infatti, permette di testare l’apprendimento, in 14 tappe di gioco, delle attività che il DL deve svolgere ai fini della gestione della sicurezza. Il “giocatore” individua, per ogni esercizio, la soluzione corretta che può consistere nell’individuazione di frasi o parole (mancanti, corrette, non coerenti ecc.) oppure di percorsi logici riferiti ai contenuti dell’opuscolo.
 

Norme sull’assunzione di lavoratori disabili, quando, come

Maggio 13, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Le aziende pubbliche e private con un organico da più di 15 dipendenti, sono tenute a inserire lavoratori disabili nella misura fissata dall’art. 3 della L.68/99*.

La norma impone ai soggetti di assumere: una persona (solo nel caso di nuove assunzioni), se la dotazione è da 15 a 35 dipendenti; due persone se l’azienda ha da 36 a 50 dipendenti; persone per il 7% dei dipendenti e una persona appartenente alle categorie protette ex L.68/99, se l’azienda ha da 51 a 150 lavoratori; persone per il 7% dei dipendenti e appartenenti alle categorie protette per l’1% dei dipendenti di cui alla L. 68/99, se i lavoratori sono oltre 150.

Secondo l’ultima riforma del lavoro, a partire dal 18 luglio 2012**, per la determinazione del numero dei lavoratori disabili da assumere si deve tenere conto del numero dei dipendenti aziendali assunti con contratto di lavoro subordinato.

Non sono soggetti all’obbligo i datori di lavoro del settore edile (personale di cantiere e addetti al trasporto), i servizi di polizia e della protezione civile (l’obbligo è previsto solo nei servizi amministrativi).

Per adempiere all’obbligo, le aziende possono utilizzare o la chiamata nominativa (è l’azienda stessa a individuare la persona da inserire nel lavoro) oppure la chiamata numerica (l’azienda fa riferimento alle liste dei Centri per l’impiego).

Sono esclusi dal computo i lavoratori occupati con contratto a tempo determinato di durata fino a sei mesi, i soci di cooperative di produzione e lavoro, i dirigenti, i lavoratori assunti con contratto di inserimento, i lavoratori occupati con contratto di somministrazione presso l’utilizzatore, ovviamente i lavoratori occupati ai sensi della normativa in materia di persone disabili (L. 68/1999), gli apprendisti, i lavoratori con contratto di formazione lavoro, i lavoratori con contratto di reinserimento.

Il calcolo dell’organico sul quale fare riferimento per la percentuale d’obbligo delle assunzioni è il 31 dicembre dell’anno precedente a meno che non si tratti di imprese da 15 a 35 dipendenti, per le quali l’obbligo di assunzione sorge nel momento in cui si decide di procedere a una nuova assunzione.

* Norme per il diritto al lavoro dei disabili. Nell’art. 18 …. sono considerati disabili i soggetti appartenenti alle categorie degli invalidi civili, con una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%; invalidi del lavoro, con grado di invalidità superiore al 33%; non vedenti, che hanno un residuo visivo non superiore ad un decimo a entrambi gli occhi ; sordi, dalla nascita o prima dell’apprendimento della lingua parlata; invalidi di guerra, invalidi civili di guerra e invalidi per servizio; Vedove, orfani, profughi e le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.
** art. 4, c. 27, lett. a) della L. 92/2012 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita). Si veda anche la nota del Ministero del lavoro del 12 dicembre 2012, n. 17699 e la L. 134/2012 (di conversione del Decreto legge 83/2012 Misure urgenti per la crescita del Paese).

Edilizia e rischio chimico: il cemento e i fluidi disarmanti

Maggio 13, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Sono molte le  sostanze pericolose che si utilizzano in edilizia con possibili conseguenze per la salute e la sicurezza (incendi, esplosioni, ustioni chimiche, …) dei lavoratori. Senza dimenticare i danni che ci possono essere per l’ambiente nel caso di un impiego e smaltimento non corretto dei vari prodotti.

 
Per accrescere la consapevolezza dei lavoratori del comparto edile e avere informazioni su rischi e misure di prevenzione correlate ai prodotti chimici più utilizzati, possiamo riprendere la presentazione del documento Inail dal titolo “ Il rischio chimico nel settore edile. Se lo conosci… lo eviti…”. Documento che dedica un capitolo alla sicurezza nell’utilizzo di specifici prodotti presentando brevemente gli effetti sulla salute e le principali misure di prevenzione e protezione.
 
Sfogliando questa pubblicazione presentiamo oggi i rischi e la sicurezza nell’impiego del cemento, dei fluidi disarmanti e dei vari prodotti utilizzati per il trattamento di murature, legno, metalli e pavimenti.
 
Cemento
Innanzitutto il documento ricorda che il cemento può causare ai lavoratori:
– tosse, danni alle vie respiratorie e malattie polmonari;
– dermatiti, allergie da contatto (parti scoperte degli arti: mani, braccia) ed ustioni;
– irritazione e gravi lesioni oculari.
 
Riportiamo le principali misure di prevenzione e protezione per la tutela dei lavoratori e dell’ambiente:
– “utilizzare cementi a basso contenuto di cromo VI stabilizzati con agenti riducenti e verificarne le scadenze (l’azione stabilizzante dura circa 6 mesi);
– dismettere e riporre separatamente gli abiti contaminati, le calzature, gli occhiali, ecc., pulendoli completamente prima di riutilizzarli;
– impiegare mezzi meccanici per la movimentazione;
– prevenire lo spandimento della polvere di cemento (es. utilizzare utensili a bassa velocità, non spazzare);
– il cemento umido non deve entrare in contatto con acidi, sali di ammonio, alluminio (non utilizzare contenitori di alluminio), con altri metalli e con acido fluoridrico (produce gas corrosivi);
– non entrare in ambienti (silos, contenitori, camion) contenenti cemento sfuso” senza adottare misure di sicurezza al fine di evitare il rischio di seppellimento e di soffocamento;
– “subito dopo aver movimentato/manipolato cemento o suoi impasti lavarsi con sapone neutro;
– non inalare le polveri;
– non ingerire: in caso di ingestione accidentale consultare immediatamente un medico e mostrare l’etichetta;
– non disperdere nell’ambiente, in fognature e in corpi idrici (grandi quantità di cemento possono risultare tossiche per la vita acquatica)”.
 
Queste una breve rassegna dei DPI da utilizzare per il rischio chimico: “indumenti di protezione; guanti di protezione resistenti a sostanze fortemente basiche e all’abrasione, impermeabili, rivestiti internamente di cotone; occhiali di protezione; maschera di protezione delle vie respiratorie (facciali filtranti o maschere antipolvere); calzature di sicurezza; creme barriera”.
 
Fluidi disarmanti
Sono prodotti impiegati “per la preparazione di casseforme di legno o metalliche per i getti di calcestruzzo”. Hanno composizione variabile “(sostanze organiche, oli vegetali, solventi, metalli pesanti, emulsionanti, prodotti bituminosi, ecc.) e di conseguenza anche gli effetti sulla salute possono essere differenti”. Ad esempio:
– “possono causare dermatiti, congiuntiviti, danni all’apparato respiratorio;
– se ingeriti possono causare danni ai polmoni fino ad essere letali”.
Inoltre possono aumentare il rischio di incendio.
 
Queste le misure di prevenzione e protezione:
– “preferire l’applicazione con spazzolone o pennello piuttosto che nebulizzare;
– non usare oli esausti in quanto contengono idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e policlorobifenili (PCB);
– conservare in luogo fresco e ben ventilato, lontano da fonti di calore e sorgenti di accensione;
– riporre separatamente gli indumenti da lavoro e lavarli a parte;
– in caso di incendio evitare di respirare i prodotti di combustione;
– evitare di respirare i vapori/aerosol durante l’utilizzo;
– non disperdere nell’ambiente, in fognature e in corpi idrici e smaltire come rifiuti pericolosi”.
 
Prodotti per murature, pavimenti, metalli e legno
Sono prodotti impiegati principalmente “per il trattamento di murature, legno, metalli e pavimenti (antimuffa, antiruggine, antialghe, detergenti, svernicianti, disincrostanti, impermeabilizzanti, stabilizzanti, intonaci, materiali per strati di fondo e per giunti, induritori, spiananti, turapori, antipolvere, colle, solventi, primer, vernici, smalti, resine ed adesivi)”.
 
Possono contenere sostanze pericolose per la salute (es. nocive, irritanti, tossiche) e la sicurezza del lavoratore (es. infiammabili, corrosive) e, ad esempio, possono “causare cefalea, vertigini, sensibilizzazione cutanea e respiratoria, ecc”.
 
Queste le misure di prevenzione e protezione:
– “non nebulizzare ma preferire l’applicazione con pennello;
– in caso di travaso riportare sul contenitore l’etichettatura e rendere disponibile la scheda di sicurezza;
– se il prodotto viene manipolato e/o stoccato in luogo chiuso aerare adeguatamente i locali o ricorrere ad aspirazione localizzata;
– riporre separatamente gli indumenti da lavoro e lavarli a parte;
– non tenere stracci sporchi nelle tasche;
– conservare il recipiente chiuso e tenere fuori dalla portata dei bambini e lontano da alimenti, bevande e mangimi;
– se la scheda di sicurezza definisce il prodotto infiammabile, non fumare e tenere lontano da fiamme e scintille;
– in caso di incendio usare i mezzi previsti dalla scheda di sicurezza;
– evitare il contatto con pelle ed occhi;
– non ingerire e non inalare polveri, gas, fumi, vapori e aerosol;
– non disperdere nell’ambiente, in fognature e in corpi idrici e smaltire seguendo le indicazioni della scheda di sicurezza”.
 
Ricordiamo per concludere che il documento Inail, che vi invitiamo a leggere integralmente, riporta per ogni agente chimico i DPI necessari alla protezione dal rischio chimico.
 
 
Inail – Settore Ricerca, Certificazione e Verifica – Dipartimento Processi Organizzativi, “ Il rischio chimico nel settore edile. Se lo conosci… lo eviti…”, autori: Domenica Di Matteo, Mauro Pellicci, Sara Stabile con la collaborazione di Paolo Di Francesco, ottobre 2013

Parrucchiere: i rischi in gravidanza e puerperio

Maggio 13, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Indicazioni per una valutazione dei rischi in ottica di genere nel settore dell’acconciatura. I fattori di rischio e le soluzioni possibili. Lavaggio e taglio dei capelli, messa in piega con phon, colorazione, decolorazione, …

 

La valutazione dei rischi per la salute in gravidanza e puerperio nel settore dell’acconciatura” che si ricollega ai temi sia dei rischi professionali dei parrucchieri che a quelli recentemente molto attuali della valutazione dei rischi in ottica di genere. Pubblicazione realizzata dall’ Azienda USL Viareggio in collaborazione con la Consigliera di Parità della Provincia di Lucca – è ancora in grado di fornire, ai titolari di attività di acconciatura e ai medici competenti, utili indicazioni per analizzare i “fattori di rischio presenti nel settore che possono provocare danni alla salute durante la gravidanza ed il puerperio” e per prendere le cautele necessarie per le lavoratrici.
 
Ricordando che la normativa di tutela della maternità prevede che durante la gravidanza la donna “possa continuare a lavorare solo in condizioni ambientali e professionali sicure”, veniamo ad alcune delle operazioni descritte con riferimento ai fattori di rischio riscontrati e alle possibili soluzioni. Il documento, che vi invitiamo a visionare, riporta anche informazioni dettagliate sulle sostanze chimiche presenti e sui possibili effetti sulla salute.
 
Durante il lavaggio dei capelli (lavaggio con shampoo, frizione con balsamo, uso di cachès coloranti, fissaggio con liquido per contropermanenti, risciacquatura di teste precedentemente trattate con colore, decolorante, stirante) questi sono i fattori di rischio rilevati:
– “chimici: contatto cutaneo ed inalazione di prodotti coloranti, decoloranti, stiranti, perossido di idrogeno;
– posturali: attività in stazione eretta prolungata con flessione protratta in avanti del rachide;
– infettivi: parassiti del cuoio capelluto”.
Queste invece le possibili soluzioni:
– “durante la gravidanza: attività possibile escludendo le operazioni di risciacquatura di teste trattate con coloranti, decoloranti e stiranti e quelle di fissaggio, in modo discontinuo, per non più di 4 ore su una giornata lavorativa di 8 ore alternando la posizione seduta e quella in piedi. Da valutare, con l’ avanzare della gravidanza, i disagi provocati dalla posizione flessa in avanti al lavatesta;
– durante il puerperio: attività possibile per tutto l’orario di lavoro, escludendo le operazioni di risciacquatura di teste trattate con coloranti, decoloranti stiranti e quelle di fissaggio”.
 
Durante il taglio dei capelli (taglio con forbici, rasoi o macchinetta) i fattori di rischio sono:
– “posturali: stazione eretta prolungata con atteggiamento in flessione anteriore del rachide, arti superiori a lungo sollevati, movimenti fini ripetuti della mano e flessoestensione del polso;
– infettivi: parassiti del cuoio capelluto”.
Queste le soluzioni:
– “durante la gravidanza: attività possibile, con pause, per non più di 4 ore su una giornata lavorativa di 8 ore;
– durante il puerperio: attività possibile senza limitazioni orarie”.
Riguardo alla messa in piega con phon o bigodini (montaggio di bigodini su capelli non trattati, massaggio della cute con frizioni curative, fissative, coloranti, asciugatura con spazzola e phon, arricciatura con ferro) i fattori di rischio sono:
– “posturali: prolungata stazione eretta con arti superiori sollevati ed atteggiamento del rachide in flessione anteriore, movimenti fini della mano e del polso, sostegno manuale del phon di peso variabile tra i 300 ed i 500 grammi;
– chimici: contatto cutaneo con sostanze irritanti e sensibilizzanti;
– fisici: campi elettromagnetici di intensità non trascurabile durante l’uso di phon”.
Queste le soluzioni correlate:
– durante la gravidanza: “attività possibile senza le operazioni di massaggio con frizioni coloranti e fissative, per non più di 4 ore su una giornata lavorativa di 8 ore, mantenendo il phon a distanza di almeno 30 cm. dal corpo, tranne nel caso di phon con motore a parete e tubo flessibile: per tale tipo non è necessaria alcuna precauzione;
– durante il puerperio: attività possibile senza limitazioni orarie, con esonero dall’uso di fissanti e coloranti”.
 
Riguardo invece alla colorazione (preparazione del colore mediante diluizione di polveri, emulsioni o gel, applicazione del colore con pennello) e ai fattori di rischio correlati (chimici: contatto cutaneo ed inalazione di sostanze irritanti e sensibilizzanti; posturali: stazione eretta prolungata ad arti superiori sollevati, movimenti ripetuti del polso), le soluzioni sono più “drastiche”:
– “durante la gravidanza: allontanamento da questo tipo di attività;
– durante il puerperio: allontanamento da questo tipo di attività”.
 
Soluzioni, queste ultime, che vengono prospettate anche per alcune attività di decolorazione, di stiramento permanente, di manicure e pedicure,…
 
Concludiamo ricordando le attività di lavoro nel settore acconciatura su cui si sofferma il documento:
– lavaggio dei capelli;
– taglio dei capelli;
– messa in piega con phon o bigodini;
– colorazione;
– decolorazione (colpi di sole o meches);
– decolorazione;
– arricciatura permanente;
– stiramento permanente;
– manicure;
– pedicure;
– altre attività : pulizia, reception.
 
 
 
Azienda USL Viareggio, in collaborazione con la Consigliera di Parità della Provincia di Lucca, “ La valutazione dei rischi per la salute in gravidanza e puerperio nel settore dell’acconciatura”, ideazione e realizzazione a cura di Dott. Lucia Bramanti, Dott. Paolo Saccardi (PISLL Ausl 12 Viareggio) e Dott. Cinzia Di Pede (Ausl 5 Pisa)

Valutazione del rischio e RLS: strumenti e modalità operative della consultazione e della partecipazione

Maggio 13, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Un’efficace consultazione e conseguente partecipazione attiva del RLS al processo di valutazione del rischio sono necessari per una corretta identificazione dei reali fattori di pericolo e nella conseguente definizione di scelte appropriate da parte del Datore di Lavoro nell’ambito del sistema di prevenzione e protezione aziendale.

La partecipazione attiva si ottiene con modalità operative che garantiscano al RLS di svolgere efficacemente il proprio ruolo e attraverso l’introduzione di strumenti quali i gruppi di lavoro, la sperimentazione diretta da parte dei lavoratori di soluzioni ipotizzate, la formazione “attiva” ed una corretta gestione delle comunicazioni che consenta un’agevole analisi delle situazioni pericolose, degli incidenti e dei quasi – infortuni.

Importante anche la disponibilità di procedure di negoziazione tra lavoratori, RLS e Datore di Lavoro.

Modalità e strumenti operativi per la consultazione e la partecipazione attiva

Quali modalità operative, quali strumenti introdurre per una efficace consultazione e partecipazione attiva del RLS al processo di valutazione del rischio e conseguente elaborazione del documento?

Quali modalità operative per il coinvolgimento dei lavoratori?

La consultazione del RLS rappresenta una parte rilevante nella gestione della salute e della sicurezza.

Non sempre il Datore di Lavoro, i Dirigenti, il Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP) hanno soluzioni per ogni situazione mentre il RLS, unitamente ai lavoratori, possiede conoscenze approfondite relative alla modalità quotidiana di svolgimento di un’attività. Per cui indagare dettagliatamente un’attività attraverso il RLS si traduce nell’identificazione dei reali fattori di rischio e nella conseguente definizione di scelte appropriate.

La partecipazione attiva non si limita però alla consultazione, ma prevede che il RLS sia coinvolto nei processi decisionali.

La check list per garantire la partecipazione attiva

La check list che segue è una linea guida ed efficace strumento operativo per garantire la partecipazione attiva del RLS al processo di valutazione del rischio. Il metodo trae spunto dalle indicazioni dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA).

1. Il RLS può svolgere efficacemente il proprio incarico, ovvero:

  • Il RLS può accedere a tutte le informazioni pertinenti?
  • Il RLS ha una formazione adeguata sui principi della prevenzione e dell’applicazione delle norme di salute e sicurezza sul lavoro (la formazione deve comprendere quella di base cogente ma possibilmente anche formazione ulteriore)?
  • Il RLS riceve un’assistenza completa di tipo amministrativo nello svolgimento delle proprie funzioni?
  • Al RLS è consentito richiedere permessi di lavoro retribuiti per discutere alcune questioni e fornire riscontri ai lavoratori che rappresenta?

2. La procedura di identificazione dei pericoli e di valutazione del rischio prevede, oltre che la cogente consultazione, anche la partecipazione attiva del RLS? La partecipazione attiva del RLS è documentata in una procedura dedicata?

La procedura di identificazione dei pericoli e di valutazione del rischio deve prevedere la modalità con la quale il RLS è consultato e coinvolto nel processo decisionale. La procedura deve indicare gli argomenti di consultazione ovvero gli interventi sul sistema di prevenzione e protezione, la designazione dei lavoratori responsabili della salute e della sicurezza, delle emergenze, la pianificazione della formazione in materia di salute e sicurezza, le modalità di introduzione di nuovi macchinari/apparecchiature e/o tecnologie.

La procedura relativa alla partecipazione attiva deve indicare gli strumenti operativi utilizzati tra i quali:

  • Gruppi di lavoro:  Un gruppo di lavoro è costituito con l’obiettivo di affrontare un problema specifico. Al gruppo di lavoro partecipa, con l’eventuale supervisione e coordinamento del RSPP, il RLS e/o un insieme omogeneo di lavoratori la cui mansione è pertinente l’argomento trattato. Il gruppo decide in merito al problema con una pianificazione delle azioni e delle misure necessarie per la rimozione e/o riduzione a livelli accettabili dello stesso (prescrizioni, regole, procedure, formazione, dispositivi di protezione individuale). La decisione del gruppo è parte integrante del Documento di Valutazione del rischio (al gruppo può essere attribuito il termine di “gruppo decisionale” anche per rinforzare “psicologicamente” i partecipanti). Ovviamente la decisione deve essere sempre confermata dal Datore di Lavoro che rimane l’unico responsabile della valutazione dei rischi. Il coinvolgimento del personale addetto a mansioni pertinenti garantisce che il risultato ottenuto abbia “acquisito” l’esperienza del gruppo e aumenta notevolmente le probabilità che i lavoratori rispettino le prescrizioni stabilite.
  • Test o prove sul campo:  Il RLS e i lavoratori sono coinvolti nello sperimentare o testare direttamente delle soluzioni. Sono pianificati il periodo di prova e i criteri rispetto ai quali la prova possa essere considerata positiva. La soluzione è quindi integrata definitivamente nel Documento di Valutazione del Rischio, sempre dopo conferma del Datore di Lavoro.
  • Formazione “attiva”: La formazione “attiva” è erogata direttamente dal Datore di Lavoro, attraverso il RSPP, con ampia considerazione della realtà aziendale e con la possibilità per i lavoratori di discutere ed esprimere le proprie opinioni in merito alle questioni affrontate. A seguito degli incontri di formazione, con la partecipazione pianificata del RLS, sono gestite le informazioni raccolte e inserite nel processo decisionale.

3. La comunicazione con RLS e lavoratori è gestita con apposita procedura?

RLS e lavoratori devono essere opportunamente e tempestivamente informati. I canali di comunicazione sono sia formali che informali; devono in ogni caso essere privilegiati i canali formali che in particolare devono consentire ai lavoratori di fare proposte ma anche e soprattutto di ottenere feedback che diano loro confidenza della presa in carico da parte dell’azienda delle loro segnalazioni.

I canali comprendono discussioni/riunioni di “reparto” fra dirigenti, lavoratori, riunioni informative, rete intranet dell’organizzazione, indagini, sistemi di suggerimenti (tipo cassetta dei suggerimenti), la newsletter del personale ecc. Gli argomenti è opportuno che siano ad ampio raggio includendo anche temi quali l’organizzazione del lavoro, i processi di produzione e conseguenti metodi, procedure e prescrizioni.

4. I controlli sul sistema salute e sicurezza sul lavoro comprendono la partecipazione attiva del RLS oltre che del management?

Nella procedura dei controlli prevedere verifiche periodiche a cura del RLS, sia legate alla corretta applicazione delle prescrizioni (ad esempio corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale) ma anche all’adeguatezza delle prescrizioni stesse (ad esempio: i dispositivi di protezione individuale in uso sono adeguati?). I controlli devono essere registrati.

5. La segnalazione delle situazioni pericolose, dei quasi – incidenti e degli incidenti è gestita con apposita procedura? Il RLS è pienamente coinvolto nelle indagini condotte in caso di infortunio?

RLS e lavoratori dispongono di una modalità codificata per segnalare le situazioni pericolose, i quasi – incidenti e gli incidenti? Soprattutto, a seguito di una segnalazione, sono coinvolti nel processo di analisi della stessa?

6. Il RLS ha capacità di negoziazione al fine di ricercare soluzioni consensuali tra lavoratori e Datore di Lavoro in caso di conflitti?

Opportuno disporre di procedure di negoziazione. Affinché la negoziazione sia efficace è necessaria formazione specifica sia del RLS che dei dirigenti.

La valutazione del rumore nei call center

Maggio 13, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Così come evidenziato già nel 2005, nella giornata internazionale promossa dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (International Noise Awareness Day), esistono attività lavorative dove il rischio rumore è spesso trascurato o erroneamente associato esclusivamente ad ambienti tradizionalmente “rumorosi”, quali quello edile, metallurgico e comunque nel contesto prettamente industriale. Negli anni, invece, diversi studi hanno dimostrato che esistono altre attività lavorative esposte al rischio rumore come ad esempio il settore della musica o dei Call center. In Italia, nel 2012, è stato stimato un numero di circa 200.000 lavoratori addetti ai call center che risultano essere esposti a rischio rumore. Questa particolare categoria  è soggetta a tale pericolo sia da un punto di vista ambientale che strumentale a causa dei dispositivi da loro utilizzati.

Introduzione

Gli effetti del rumore sull’orecchio umano sono essenzialmente di fastidio, disturbo e danno uditivo, ma si può arrivare anche al cosiddetto trauma acustico. Questa situazione ha attirato l’attenzione sia del Legislatore che della comunità scientifica tanto da ritenere opportuno emanare normative tecniche e linee guida per tutelare l’apparato uditivo dei lavoratori. In particolare le attenzioni si sono concentrate principalmente in tutti quei casi dove le sorgenti sonore sono situate in prossimità dell’orecchio, quali per esempio cuffie e auricolari, le quali possono generare alti livelli di pressione acustica. Questi livelli di pressione sonora in cuffia possono essere accompagnati da segnali irregolari come impulsi (esempio di una chiamata verso un fax) definiti in letteratura come “choc acustici” che, alla lunga, possono danneggiare in modo anche permanente l’apparato uditivo.

Le attuali norme di riferimento relative alla determinazione e valutazione del rischio acustico, a cui sono esposti tutte quelle categorie di lavoratori che operano e lavorano con sorgenti di rumore poste in prossimità dell’orecchio, descrivono un insieme di metodi per la misurazione dei livelli di pressione sonora. Particolare attenzione va data alla valutazione ed al confronto tra le tecnologie di misura attualmente disponibili sul mercato, di quest’ultime infatti è necessario prendere in considerazione le criticità e i principali problemi che ne influenzano l’accuratezza mettendo così in evidenza i limiti di applicazione delle varie apparecchiature nella realtà effettiva dei call center in modo da agevolare e aiutare chi deve affrontare una valutazione del rischio appropriata per i soggetti in questione.

Analisi Normativa

Il D. Lgs 81/08 stabilisce, nel Titolo VIII, le disposizioni e le modalità di misura per la valutazione dell’esposizione dei lavoratori al rumore. Nello specifico, l’articolo 181 stabilisce l’obbligo per il datore di lavoro di valutare il rischio di esposizione ad agenti fisici tra cui il rumore. Per alcune attività particolari, quali il lavoro nei call center, le modalità di misura tradizionali non sono applicabili e il legislatore aveva previsto, nell’art. 198 del D. Lgs. 81/08, la pubblicazione di linee guida specifiche per orientare gli operatori del settore. Ad oggi la Commissione Consultiva Permanente sta operando al fine di redigere il suddetto documento (tale linea guida) così come è stato fatto in passato per il settore della musica. L’esigenza di emanare normative tecniche e linee guida che comprendessero tutti quei casi espressi nell’art. 198 è scaturita dal crescente numero di lavoratori che operano con sorgenti sonore situate in prossimità dell’orecchio. La normale prassi di misura utilizzata attualmente prevedeva, infatti, che la postazione microfonica di misura fosse collocata al centro della postazione occupata dal lavoratore all’altezza della testa; in alternativa, prevedeva che il microfono fosse posto a circa 10 cm dall’orecchio più esposto del lavoratore. Come facilmente intuibile, tale procedura non è chiaramente adeguata nel caso degli operatori dei call center che, per prassi, utilizzano dispositivi auricolari attivi attraverso i quali il rumore è immesso direttamente nel condotto uditivo. Ne deriva che la metodica di misura adottata nei classici ambienti di lavoro, così come previsto dalla norma tecnica UNI EN ISO 9612:2011 (Determinazione del livello di esposizione al rumore negli ambienti di lavoro) e dalla norma UNI 9432:2011 (Determinazione del livello di esposizione personale al rumore nell’ ambiente di lavoro), portasse esclusivamente alla misura del livello di pressione acustica ambientale senza analizzare quello che arriva effettivamente al timpano del lavoratore. Per questo motivo, in aggiunta alle misure sopra citate se ne aggiungono altre necessarie per valutare e misurare il rumore potenzialmente pericoloso. Tale serie di norme tecniche, quali la UNI EN ISO 11904-1:2006 (Determinazione dell’esposizione sonora dovuta a sorgenti sonore situate in prossimità dell’orecchio. Parte 1: tecnica MIRE), la UNI EN ISO 11904-2:2005 (Determinazione dell’esposizione sonora dovuta a sorgenti sonore situate in prossimità dell’orecchio. Parte 2: tecnica del manichino) e la ETSI EG 202 518 V1.1.1, (metodo elettro-acustico), ed infine il rapporto tecnico UNI/TR 11450:2012 (Valutazione dell’esposizione a rumore nei luoghi di lavoro per lavoratori che utilizzano sorgenti sonore situate in prossimità dell’orecchio), descrivono un insieme di metodi per la misurazione dei livelli di pressione sonora e delle relative incertezze in questo settore lavorativo molto particolare. A livello nazionale esistono delle linee guida, suggerite dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e approvate nella Conferenza Stato Regioni del luglio 2012, che vengono in aiuto ai tecnici del settore. Tale documento sono state pubblicate relativamente al solo settore della musica mentre, per quanto riguarda il rumore in cuffia, la presente indagine viene condotta sempre ai sensi del titolo VIII capo II (Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro) adottando le metodiche messe a disposizione dalla normativa tecnica di settore, recentemente aggiornata. Il citato Rapporto Tecnico (UNI/TR 11450:2012) rimanda alla UNI EN ISO 9612:2011 e alla UNI 9432:2011 per quanto riguarda il calcolo del livello di esposizione giornaliera o settimanale al rumore, il livello di picco, la quantificazione delle relative incertezze e il confronto con i valori di legge.

Quindi per effettuare la misurazione si adotta il rapporto tecnico UNI TR 11450:2012 ma per il confronto con il Testo Unico si adottano le norme tecniche UNI EN ISO 9612:2011 e la UNI 9432:2011.

Gravi violazioni ai fini dell’adozione del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale

Maggio 13, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Violazioni che espongono a rischi di carattere generale

  •  Mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi;
  • Mancata elaborazione del Piano di Emergenza ed Evacuazione;
  • Mancata formazione ed addestramento;
  • Mancata costituzione del servizio di prevenzione e protezione e nomina del relativo responsabile;
  • Mancata elaborazione piano operativo di sicurezza (POS).

 

Violazioni che espongono al rischio di caduta dall’alto

  • Mancata fornitura del dispositivo di protezione individuale contro le cadute dall’alto;
  • Mancanza di protezioni verso il vuoto.

 

Violazioni che espongono al rischio di seppellimento

  • Mancata applicazione delle armature di sostegno, fatte salve le prescrizioni desumibili dalla relazione tecnica di consistenza del terreno.

 

Violazioni che espongono al rischio di elettrocuzione

  • Lavori in prossimità di linee elettriche in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi;
  • Presenza di conduttori nudi in tensione in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi;
  • Mancanza protezione contro i contatti diretti ed indiretti (impianto di terra, interruttore magnetotermico, interruttore differenziale).

 

Violazioni che espongono al rischio d’amianto

  •  Mancata notifica all’organo di vigilanza prima dell’inizio dei lavori che possono comportare il rischio di esposizione ad amianto.

Infortunio sul lavoro

Maggio 13, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

3d abstract running doctorsÈ infortunio sul lavoro se… L’assicurazione obbligatoria Inail copre ogni incidente avvenuto per “causa violenta in occasione di lavoro” dal quale derivi la morte, l’inabilità permanente o l’inabilità assoluta temporanea per più di tre giorni. Si differenzia dalla malattia professionale poiché l’evento scatenante è improvviso e violento, mentre nel primo caso le cause sono lente e diluite nel tempo.

La causa violenta. È un fattore che opera dall’esterno nell’ambiente di lavoro, con azione intensa e concentrata nel tempo, e presenta le seguenti caratteristiche: efficienza, rapidità ed esteriorità. Può essere provocata da sostanze tossiche, sforzi muscolari, microrganismi, virus o parassiti e da condizioni climatiche e microclimatiche. In sintesi, una causa violenta è ogni aggressione che dall’esterno danneggia l’integrità psico-fisica del lavoratore.

L’occasione di lavoro. Si tratta di un concetto diverso rispetto alle comuni categorie spazio temporali riassumibili nelle espressioni “sul posto di lavoro” o “durante l’orario di lavoro”. Si tratta di tutte le situazioni, comprese quelle ambientali, nelle quali si svolge l’attività lavorativa e nelle quali è imminente il rischio per il lavoratore. A provocare l’eventuale danno possono essere:

  • elementi dell’apparato produttivo
  • situazioni e fattori propri del lavoratore
  • situazioni ricollegabili all’attività lavorativa

Non è sufficiente, quindi, che l’evento avvenga durante il lavoro ma che si verifichi per il lavoro, così come appurato dal cosiddetto esame eziologico, ossia l’esame delle cause dell’infortunio. Deve esistere, in sostanza, un rapporto, anche indiretto di causa-effetto tra l’attività lavorativa svolta dall’infortunato e l’incidente che causa l’infortunio.

Sono esclusi dalla tutela gli infortuni conseguenti ad un comportamento estraneo al lavoro, quelli simulati dal lavoratore o le cui conseguenze siano dolosamente aggravate dal lavoratore stesso.
Sono invece tutelabili gli infortuni accaduti per colpa del lavoratore, in quanto gli aspetti soggettivi della sua condotta (imperizia, negligenza o imprudenza) nessuna rilevanza possono assumere per l’indennizzabilità dell’evento lesivo, sempreché si tratti di aspetti di una condotta comunque riconducibile nell’ambito delle finalità lavorative.

L’infortunio in itinere.
 L’Inail tutela i lavoratori anche nel caso di infortuni avvenuti durante il normale tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro. Il cosiddetto infortunio in itinere può verificarsi, inoltre, anche durante il normale percorso che il lavoratore deve fare per recarsi da un luogo di lavoro a un altro, nel caso di rapporti di lavoro plurimi, oppure durante il tragitto abituale per la consumazione dei pasti, se non esiste una mensa aziendale. Qualsiasi modalità di spostamento è ricompresa nella tutela (mezzi pubblici, a piedi, ecc.) a patto che siano verificate le finalità lavorative, la normalità del tragitto e la compatibilità degli orari. Al contrario, il tragitto effettuato con l’utilizzo di un mezzo privato, compresa la bicicletta in particolari condizioni, è coperto dall’assicurazione solo se tale uso è necessitato.

Chiarimenti sull’obbligo di informazione, formazione e addestramento

Maggio 13, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

La Cassazione ha affermato che “l’applicazione delle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro sottendono … allo scopo di evitare che l’errore umano, possibile e, quindi, prevedibile, influente su di una condotta lavorativa diversa da quella corretta, ma pur sempre posta in essere nel contesto lavorativo, possa determinare il verificarsi di un infortunio. Se tutti i dipendenti fossero sempre diligenti, esperti e periti non sarebbe necessario dotare i luoghi di lavoro e le macchine di sistemi di protezione” (  Corte di Cassazione – Sezione IV Penale – 7 giugno 2010 n. 21511). E se tutti fossero sempre diligenti, esperti e periti non sarebbe neanche necessario   informare, formare, addestrare, con aggiornamenti periodici, i lavoratori, ma anche i preposti e i dirigenti.

Ma così non è:  non tutti sono diligenti-esperti-periti e anche chi lo è ha la tendenza a sottovalutare l’importanza dell’attenzione ininterrotta alla sicurezza e all’igiene del lavoro. Diventa dunque obbligatorio, nonché fondamentale, garantire a tutti i lavoratori, ma anche ai dirigenti e ai preposti, una formazione adeguata e idonea.
 
In tal senso l’articolo 37 D.Lgs. del n. 81/2008 (Formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti) rappresenta gli obblighi fondamentali in materia, sanzionando come reati contravvenzionali (penali) i commi che definiscono i capisaldi dell’obbligo formativo:
 
1. Il   datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con particolare riferimento a:
a) concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo, assistenza;
b) rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda.(Sanzione per la violazione: arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.200 a 5.200  euro il datore di lavoro – dirigente)
 
2. La durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione di cui al comma 1 sono definiti mediante accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottato, previa consultazione delle parti sociali, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo
 
3. Il datore di lavoro assicura, altresì, che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in merito ai rischi specifici di cui ai titoli del presente decreto successivi al I. Ferme restando le disposizioni già in vigore in materia, la formazione di cui al periodo che precede è definita mediante l’accordo di cui al comma 2.
 
4. La formazione e, ove previsto, l’addestramento specifico devono avvenire in occasione:
a) della costituzione del rapporto di lavoro o dell’inizio dell’utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro;
b) del trasferimento o cambiamento di mansioni;
c) della introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi.
 
5. L’addestramento viene effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro.
 
6. La formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti deve essere periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi.
 
7. I dirigenti e i preposti ricevono a cura del datore di lavoro, un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia di salute e sicurezza del lavoro. I contenuti della formazione di cui al presente comma comprendono:
a) principali soggetti coinvolti e i relativi obblighi;
b) definizione e individuazione dei fattori di rischio;
c) valutazione dei rischi;
d) individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione e protezione.
(Sanzione per la violazione: arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.200 a 5.200  euro il datore di lavoro/dirigente)
 
7-bis. La formazione di cui al comma 7 può essere effettuata anche presso gli organismi paritetici di cui all’articolo 51 o le scuole edili, ove esistenti, o presso le associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori.
 
8. I soggetti di cui all’articolo 21, comma 1, possono avvalersi dei percorsi formativi appositamente definiti, tramite l’accordo di cui al comma 2, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
 
9. I lavoratori incaricati dell’attività di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave ed immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza devono ricevere un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico; in attesa dell’emanazione delle disposizioni di cui al comma 3 dell’articolo 46, continuano a trovare applicazione le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’interno in data 10 marzo 1998, pubblicato nel S.O. alla G.U. n. 81 del 7 aprile 1998, attuativo dell’articolo 13 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626. (Sanzione per la violazione: arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.200 a 5.200  euro per  il datore di lavoro/dirigente)
 
[…] 12. La formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in collaborazione con gli organismi paritetici, ove presenti nel settore e nel territorio in cui si svolge l’attività del datore di lavoro, durante l’orario di lavoro e non può comportare oneri economicia carico dei lavoratori.
 
Si noti che il 12° comma ovviamente non è sanzionato penalmente, trattandosi di materia che riguarda obblighi di natura patrimoniale-contrattuale, dunque civilistica. Ma non è certo ininfluente il caso in cui, ad esempio, un datore di lavoro decida inopinatamente di effettuare la formazione del lavoratore, o preposto, o dirigente senza retribuirgli il tempo dedicato a tale attività: difatti in tal caso il dipendente potrà agire in sede giudiziale civile e proprio ai sensi dell’art. 37 comma 12 del D. Lgs. n. 81/2008, potrà richiedere il rimborso del costo della formazione dovuto alla mancata retribuzione del tempo dedicato alla stessa nonché gli interessi e la rivalutazione degli importi così determinati.
 
Il D.Lgs 81/2008 pone in effetti al centro della strategia prevenzionistica l’obbligo formativo, informativo e di addestramento (ove necessario, in conformità dei pertinenti aspetti del documento di valutazione dei rischi di cui all’articolo 28 c. 2 lettere b, d e f e 29 del D.Lgs. n. 81/2008): si vedano  gli art. 18 c. 1 lett. l, 36, 37, 28 c. 2 lett. e) ed f).
Il D.Lgs. n. 106/2009 ha potenziato tali obblighi in modo incisivo, definendone analiticamente contenuti e modalità e individuando negli accordi Stato-Regioni lo strumento di attuazione completa del dettato normativo.
Nello specifico, le modalità della formazione, i contenuti minimi e la durata dei corsi sono appunto stabiliti dalla Conferenza Stato-Regioni entro 12 mesi dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2008. Il testo dell’Accordo è stato dapprima definito in sede tecnica e poi approvato in sede politica il 21.12.2011.
 
Per i lavoratori, la formazione e, ove previsto, l’addestramento specifico devono avvenire in occasione:
1. della costituzione del rapporto di lavoro o dell’inizio dell’utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro;
2. del trasferimento o cambiamento di mansioni;
3. della introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi.
 
Vediamo alcuni capisaldi dell’art. 37 del decreto n. 81/2008.
 
Obbligatorietà della verifica del livello di apprendimentoper tutti i soggetti da formare, a cominciare dai lavoratori [art. 37 c. 1 secondo il quale la formazione deve essere“sufficiente e adeguata”  al fine di “trasferire  ai  lavoratori  ed  agli  altri  soggetti  del sistema di prevenzione  e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione  di  competenze  per  lo  svolgimento  in  sicurezza dei rispettivi  compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi”(art. 2 c. 1 lett. aa D.Lgs. n. 81/2008), e questa adeguatezza è impossibile da provare in mancanza di verifica dell’apprendimento], passando per i  preposti e dirigenti [art. 37 comma 7 che prescrive che anch’essi ricevano “un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti”, e vale qui lo stesso discorso fatto in precedenza per i lavoratori] fino agli RLS(art. 37 comma 11);
La   formazione per gli RLS deve avere al proprio interno 12 delle 32 ore previste dedicate ai “rischi specifici” dell’azienda nella quale svolgono la loro fondamentale funzione di rappresentanza del diritto alla sicurezza e alla salute dei lavoratori: si tratta di un obbligo minimo inderogabile sottratto alla contrattazione collettiva e se non rispettato tale da invalidare la formazione dell’RLS, con conseguente sanzione a carico del datore di lavoro.
Per gli RLS è previsto l’obbligo datoriale di far loro frequentare un aggiornamento periodico annuale della formazione, che trova la sua disciplina di dettaglio nei contratti collettivi (se gli stessi sono carenti si farà la formazione in aggiornamento a prescindere dalla contrattazione collettiva): per le aziende che hanno meno di 15 dipendenti non è prevista una durata minima del corso di aggiornamento, che quindi ragionevolmente può spaziare da una alle quattro ore, ed è invece di non meno di 4 ore per le imprese che occupano tra i 15 e i 50 lavoratori e di non meno di 8 ore per le imprese con più di 50 dipendenti.
 
L’articolo 37 del D.Lgs. n. 81/2008 prevede, ed auspica, la registrazione nel   libretto formativo del cittadino delle competenze acquisite a seguito dell’attività di formazione.
Tuttavia il legislatore, prendendo atto che la previsione normativa del libretto non si è concretamente realizzata a livello nazionale (fatti salvi sporadici tentativi locali, che mettono ancor più in evidenza il colpevole ritardo istituzionale nell’adottare un documento che sarebbe di grande utilità per le imprese che assumono personale magari già formato ma privo di attestazione), con il D.Lgs. n. 106/2009 ha modificato l’art. 37 comma 12, ha precisando che l’obbligo di registrazione sul libretto opera “se concretamente disponibile in quanto attivato nel rispetto delle vigenti disposizioni”.
 
In relazione al ruolo di particolare rilevanza rivestito, per il preposto (il garante del controllo sull’esecuzione in sicurezza del lavoro, persona che sovrintende alla attività lavorativa, controlla che avvengano nel rispetto delle disposizioni aziendali e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute) e per il dirigente (che è il garante organizzativo della sicurezza in azienda) è prevista una formazione, specifica e periodicamente aggiornata, non più solo in azienda come inizialmente previsto dal D.Lgs. n. 81/2008 ma anche fuori azienda (il D.Lgs. n. 106/2009 ha eliminato l’inciso inizialmente contenuto nell’art. 37 comma 7 del D.Lgs. n. 81/2008 per il quale la formazione dei preposti, e dei dirigenti, poteva avvenire solo in azienda) in materia di:
1. principali soggetti coinvolti e i relativi obblighi;
2. definizione e individuazione dei fattori di rischio;
3. valutazione dei rischi;
4. individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione e protezione (art. 37 comma 7 del D.Lgs. n. 81/2008 come modificato dal D.Lgs. n. 106/2009).
 
L’accordo Stato Regioni del 21 dicembre 2011 sulla formazione definisce i contenuti e le modalità formative in modo inderogabile, ed è stato meglio definito a livello applicativo dal successivo accordo interpretativo del 25 luglio 2012.
 
collaboratori familiari e i lavoratori autonomi hanno facoltà con oneri a proprio carico, in base all’articolo 21 D.Lgs. n. 81/2008, di fruire della formazione in materia di sicurezza (e di sottoporsi alla sorveglianza sanitaria) e in tal senso gli accordi citati li includono nei soggetti beneficiari di tale formazione. Non è inutile sottolineare che il committente il quale incautamente affida lavori, servizi e forniture a soggetti esterni privi di formazione (e di sorveglianza sanitaria) si assume rilevanti responsabilità, e deve inoltre descrivere la circostanza nei documenti aziendali di valutazione dei rischi, ovvero il DVR e il DUVRI. Meglio è perciò vietare l’ingresso in azienda a lavoratori autonomi e imprese familiari privi di formazione e sorveglianza sanitaria.
 
 
Le modifiche introdotte dal DLgs 106/09 all’allegato XVII [del D.Lgs. n. 81/2008]  che indica tra i documenti da esibire da parte del   lavoratore autonomo gli “attestati inerenti la propria formazione e la relativa idoneità sanitaria ove espressamente previsti dal presente decreto legislativo”non cambiano gli obblighi del committente (o del responsabile dei lavori).
Quindi: se da un lato la sorveglianza sanitaria, e la partecipazione a corsi di formazione, costituisce una facoltà del lavoratore autonomo [art. 21 D.Lgs. n.81/2008], dall’altro il tenore dell’Allegato XVII porta a ritenere vincolante l’esibizione della relativa documentazione al committente ai fini della verifica dell’idoneità tecnico professionale.
Con la conseguenza che un lavoratore autonomo può anche non sottoporsi a sorveglianza sanitaria e non partecipare a corsi di formazione, ma in tal caso un committente di lavori edili o di ingegneria civile non può legittimamente affidargli tali lavori.
 
 
Provvisoriamente rimane in vigore il   Dm 10 Marzo 1998 per gli addetti all’antincendio, in attesa che l’accordo Stato-Regione stabilisca i nuovi criteri per la formazione e l’aggiornamento degliaddetti alle emergenze.
Nel frattempo restano in vigore i precedenti obblighi formativi così come definiti dal DM citato, fatta salva la novità immediatamente operativa dell’aggiornamento periodico, che in ossequio al principio di analogia (art. 12 D.P. al Codice Civile) potrebbe essere almeno triennale, come previsto nel D.M. n. 388/2003 per gli addetti al primo soccorso, ed eventualmente con otto o sei ore di formazione per il rischio alto.
La  circolare del Ministero degli interni Dipartimento Vigili del Fuoco 23.02.2011 ha definito durata (2-5-8 ore a seconda se l’attività è a rischio basso, medio o alto) e i contenuti di detti aggiornamento antincendio.
 
Richiamando la propria giurisprudenza,la Suprema Corte ha affermato che “in tema di prevenzione di infortuni, il datore di lavoro deve controllare che siano osservate le disposizioni di legge e quelle, eventualmente in aggiunta, impartite [al lavoratore]; ne consegue che, nell’esercizio dell’attività lavorativa, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di lesione colposa aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche”. “È infatti il datore di lavoro che, quale responsabile della sicurezza del lavoro, deve operare un controllo continuo e pressante per imporre che i lavoratori rispettino la normativa e sfuggano alla tentazione, sempre presente, di sottrarvisi anche instaurando prassi di lavoro non corrette“.
 
Secondo la Cassazione, “tali conclusioni si evincono non solo dallo stesso, richiamato dal ricorrente, art. 4 d. l.vo 19.9.1994 n. 626 [ora art. 18 D.Lgs. n. 81/2008], che non pone a carico del datore di lavoro il solo obbligo di allestire le misure di sicurezza, ma anche una serie di controlli diretti o per interposta persona, atti a garantirne l’applicazione, ma soprattutto dalla norma generale di cui all’art. 2087 Codice Civile, la quale dispone che“l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro,  l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” [Corte di Cassazione – Quarta Sezione Penale, Sentenza 23 ottobre 2008, n. 39888]. Si tratta dell’obbligo della massima sicurezza tecnica, organizzativa e procedurale concretamente attuabile.