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ROA nelle fonderie: valutazione del rischio e DPI

Ottobre 02, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

ROAsegnale

La valutazione del rischio da esposizione a radiazioni ottiche artificiali in fonderie e i criteri per la scelta dei DPI appropriati nei diversi cicli di lavoro.

E’ disponibile nella sessione documentazione del Portale Agenti Fisici, fra la Documentazione relativa alle Radiazioni Ottiche Artificiali, il rapporto nr. 03/15 “Valutazione del rischio da esposizione a radiazioni ottiche artificiali in fonderie e criteri di scelta dei DPI” a cura di Iole Pinto, Andrea Bogi, Nicola Stacchini, Francesco Picciolo – Usl 7 Sena – Laboratorio Sanità Pubblica – Agenti Fisici.

Valutazione del rischio da esposizione a radiazioni ottiche artificiali in fonderie e criteri di scelta dei DPI
Obiettivi
Obiettivo dello studio è stato la misura dell’entità dell’esposizione a radiazioni ottiche emesse nei processi di fusione della ghisa finalizzata ad una corretta valutazione del rischio e alla definizione di criteri per la scelta dei DPI appropriati nei diversi cicli di lavoro in fonderia. Le misure sono state condotte presso fonderie di prima fusione presenti sul territorio toscano. Le indagini si sono focalizzate sulle fasi del processo produttivo dove il materiale in lavorazione
(ghisa fusa) può trovarsi nel campo visivo degli operatori.
Metodiche di misura e valutazione
Le emissioni di radiazioni ottiche sono state misurate con una banda passante da 220nm a 2800nm.
L’emissione della sorgente viene acquisita contemporaneamente da più sonde ognuna delle quali è sensibile ad una porzione dello spettro ed ha una sua risposta caratteristica. La combinazione dei segnali delle sonde permette di stimare tutte le grandezze necessarie ai fini della valutazione dei rischi da esposizione a radiazioni ottiche, come descritto nel D.L.gvo 81/08.
Strumentazione utilizzata
Le misure sono state effettuate con il radiometro DeltaOhm, Modello: HD2402, utilizzando ilsoftware proprietario per la lettura dei valori delle grandezze considerate.
Condizioni di misura Le misurazioni sono state effettuate durante i normali cicli di lavorazione, collocando il sensore di misura in corrispondenza delle postazioni abitualmente occupate dai lavoratori.
Risultati
Le fasi del processo produttivo che presentano rischio di provocare esposizioni dei lavoratori a radiazioni ottiche superiori ai limiti stabiliti dalla normativa sono sinteticamente descritte nelseguito:
Fase1: Il materiale grezzo viene immesso in un forno rotativo dove viene fuso ad una temperatura di circa 1370°C. Da qui il materiale viene prelevato con un primo crogiolo (figura 1) per portarlo all’avanforno (figura 2).
Fase 2: dall’avanforno il materiale fuso viene colato in un crogiolo più piccolo del precedente (figura 3) per portarlo al carrello (figura 4).
Fase 3: Una volta nel carrello la ghisa viene colata negli stampi (figura 5).
La sorgente di radiazione ottica è la ghisa fusa, con emissione rilevante da un punto di vista fotobiologico nell’Infrarosso. Gli organi bersaglio per questa tipologia di esposizione sono camera anteriore dell’occhio e cute.
Nella tabella 1 sono riportati i valori di irradianza fra 380nm e 3000nm risultati dalle misurazioni.
Questa grandezza viene utilizzata dallo strumento per valutare i danni termici alla camera anteriore dell’occhio (parametro EIR) e alla cute (parametro HSKIN).
Tabella 1: valori misurati di irradianza e rispettivi tempi massimi di esposizione tali da garantire il rispetto dei valori limite per soggetti sani.
fonderietab1
Descrizione punti di misura:
P1: trasferimento ad avanforno, misura diretta (Fig. 2)
P2: prelievo da avanforno, misura diretta nella posizione dell’operatore (Fig. 3)
P3: trasferimento a carrello, misura diretta (Fig. 4)
P4: trasferimento a carrello, misura trasmessa attraverso la paratia, nella posizione dell’operatore.
fonderiefoto1 (1) fonderiefoto2 (1)
I limiti dettati dalla normativa a protezione della parte anteriore degli occhi e della pelle dalla radiazione infrarossa sono riportati in tabella 2:
fonderietab2
CRITERI SCELTA DPI E DISTANZE DI SICUREZZA
Per la valutazione dei DPI oculari idonei per le diverse mansioni ove si riscontrano superamenti del valori limite di esposizione(occhiali o maschere), è necessario analizzare i tempi di esposizione degli operatori presso le postazioni abitualmente occupate dagli stessi . Viene quindi individuata l’attenuazione dei DPI appropriata, con l’obiettivo di evitare il superamento dei limiti di esposizione prescritti dalla normativa, e nel contempo cercare di ridurre al minimo il disagio causato dall’indossare occhiali o maschere eccessivamente scure.
Si riporta nel seguito un esempio di valutazione per le diverse postazioni oggetto di valutazione.
P2: prelievo da avanforno, misura diretta nella posizione dell’operatore (Fig. 3): Indossando occhiali per infrarossi con una graduazione 4-1,2 il livello di esposizione oculare è inferiore al limite. La distanza dalla colata oltre la quale il livello di emissioni è comunque inferiore al valore limite è 3 metri.
P4: operatore addetto al trasferimento a carrello, posizione dietro la paratia: Indossando occhiali per infrarossi con una graduazione 4-1,7 il tempo di esposizione massimo è 400 secondi, mentre con una graduazione 4-2,3 il tempo di esposizione massimo è 480 secondi.
Per gli operatori addetti al prelievo da forno rotativo, possono essere adottate le stesse misure di tutela previste per l’operatore della postazione P4.
Nella tabella 3 sono riportati per ogni sorgente le distanze da rispettare per non avere superamento dei limiti di esposizione per rischio oculare, per tempi di esposizione pari a 10 minuti, 5 minuti e 2 minuti.
Una situazione tipica è quella degli operatori che pur non essendo addetti ad una mansione specifica che comporti l’esposizione alla radiazione emessa dal corpo incandescente, debbano transitare nei pressi dello stesso. Per valutare questo tipo di esposizioni nella tabella 3 sono date le distanze alle quali si ha il superamento dei limiti rispettivamente per esposizioni giornaliere di durata pari a 8 ore, 10 minuti, 5 e 2 minuti.
Il calcolo delle emissioni durante il trasferimento ad avanforno (punto di misura P1, fig. 2) è stato eseguito per esposizione frontale rispetto al crogiolo durante la fase di trasferimento del materiale.
Questa è la condizione peggiore, quindi i tempi riportati in tabella 1 e le distanze riportare in tabella 2 sono da intendersi per operatori che si trovino nella zona dove sono state effettuate le misurazioni.
Nel caso in cui gli operatori si trovino posti lateralmente rispetto al crogiolo, le emissioni sono minori, arrivando ad annullarsi se l’interno del crogiolo o il materiale fuso non sono a vista.
A titolo di esempio, gli operatori addetti che si trovino ad operare a circa 2,5 metri dal crogiolo, potranno indossare occhiali per infrarossi con graduazione 4 – 3 o 4 – 4, che permettono tempi di esposizione rispettivamente di 4 e 5 minuti nell’arco del turno di lavoro.
Per quanto riguarda il limite per il danno alla pelle, nelle condizioni operative normali non si ritiene che l’esposizione superi i limiti previsti dalla vigente normativa.
Tabella 3: Distanze di sicurezza dalle principali sorgenti di radiazioni ottiche in funzione dei tempi di stazionamento o di passaggio vicino alle stesse.
3
A titolo di esempio in tabella 4 si riportano le tipiche distanze di sicurezza da mantenere rispetto al centro della bocca del crogiolo a diversi angoli rispetto alla direzione frontale.
Tabella 4: Tipiche distanze di sicurezza dal crogiolo durante il trasferimento ad avanforno lungo varie direzioni, in funzione dei tempi di stazionamento o di passaggio vicino allo stesso cumulati sul turno di lavoro.
fonderietab4
Conclusioni
Nella presente valutazione sono state misurate le emissioni di radiazioni ottiche emesse durante il processo di fusione della ghisa e dell’immissione della stessa negli appositi stampi.
Durante le fasi di prelievo da rotativo, trasferimento ad avanforno, prelievo da avanforno, trasferimento a carrello, si hanno emissioni di radiazioni infrarosse che comportano un’esposizione degli operatori superiore ai valori limite.
Durante la fase di colata negli stampi le esposizioni sono in genere trascurabili, in relazione all’esposizione oculare, nelle postazioni normalmente occupate dagli operatori.
Gli operatori addetti alle fasi che danno luogo al superamento dei limiti di esposizione devono indossare gli appositi occhiali/maschere di protezione. Considerato che gli occhiali per infrarossi usati in fonderia sono spesso molto scuri, nel lavoro è stato mostrato che è possibile individuare l’appropriata attenuazione per ciascuna mansione e scegliere occhiali per infrarossi meno scuri, e quindi più confortevoli sotto il profilo ergonomico per il lavoratore, in funzione dei tempi di esposizione effettivamente riscontrabili presso ciascuna posizione nel corso dell’intero turno lavorativo.
Gli operatori che a qualsiasi titolo si trovino nelle vicinanze delle sorgenti che emettono radiazioni superiori ai limiti, possono evitare di indossare i DPI oculari solo se sono rispettate le distanze di sicurezza ed i tempi di esposizione descritti nel paragrafo precedente.
A tale riguardo è da rilevare che, pur essendo il rischio da esposizione a radiazione infrarossa in fonderia noto da oltre cento anni, le misure di tutela messe in atto per i lavoratori appaiono talvolta carenti; una delle principali criticità riscontate è associata a scelte di DPI oculari inappropriati:
spesso sono forniti ai lavoratori addetti ai processi di fusione occhiali di protezione o schermi dotati di filtro per radiazione ultravioletta, con numero di codice presente sull’etichetta della marcatura pari a 2 (fig. 7) : tali DPI non solo non sono efficaci nell’attenuare l’esposizione oculare alla radiazione infrarossa emessa dal metallo fuso, ma sortiscono l’effetto di incrementare l’esposizione oculare del lavoratore alla radiazione infrarossa, in quanto il lavoratore non percepisce alcun disagio provocato alla vista dall’ elevata luminosità del corpo incandescente, e pertanto è in grado di fissare la sorgente molto più a lungo di quanto non farebbe in assenza del dpi.
In figura 7 si riporta un esempio di marcatura per DPI oculari con filtro per infrarossi, che consente di riconoscere facilmente se il DPI messo a disposizione in azienda sia appropriato o meno.
Per quanto riguarda il limite per il danno alla pelle, nelle condizioni operative normali non si ritiene che l’esposizione superi i limiti previsti dalla vigente normativa.
Misure di tutela per i lavoratori
A seguito della presente valutazione appare necessario che vengano messe in atto le seguenti misure di tutela nei dei lavoratori addetti alle postazioni ove si è evidenziato il superamento dei limiti di esposizione:
1 Dovranno essere classificati esposti a Radiazioni Ottiche Artificiali: Rischio Radiazione Infrarossa e dovranno essere sottoposti a controllo sanitario inerente tale rischio specifico da
parte del medico competente;
2 L’area di lavoro con impiego di detti macchinari andrà opportunamente delimitata e segnalata con la seguente cartellonistica: il personale che a qualsiasi titolo si trovi ad operare all’interno dell’area durante la lavorazione del metallo fuso dovrà essere opportunamente istruito sui rischi di esposizione a ROA e sulle opportune misure di tutela da adottare.
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Figura 6 – Segnaletica Pericolo Emissione Radiazioni Ottiche Artificiali
Il personale addetto ai processi di fusione e coloro i quali abbiano comunque accesso alle zone ove è presente il rischio ROA dovrà indossare specifici DPI per infrarossi individuati secondo i criteri stabiliti nel precedente paragrafo.
Il personale addetto ai processi di fusione dovrà ricevere un appropriato addestramento sulle idonee procedure di lavoro da adottare al fine di ridurre l’esposizione individuale e degli operatori che, a qualsiasi titolo, si trovino ad operare nelle zone sopra indicate, incluso la scelta e l’uso dei DPI.
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Figura 7 – Esempio di marcatura per DPI oculari per infrarossi: Il numero di codice dei filtri per infrarossi è 4. La graduazione è 4.Se la marcatura presente sull’occhiale presenta un numero di codice differente il dispositivo non è idoneo.Ad esempio il numero di codice 2 indica un filtro per UV, da non utilizzarsi in fonderia.

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I dati  analitici  delle  misure  di  esposizione  a  radiazione  Infrarossa  ottenuti  per  ciascuno  degli  apparati  valutati  è  disponibile  alla  banca  dati  ROA  del  Portale  Agenti  Fisici http://www.portaleagentifisici.it/fo_ro_artificiali_list_macchinari_avanzata.php?lg=IT&page=0
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a cura di Iole Pinto, Andrea Bogi, Nicola Stacchini, Francesco Picciolo – Usl 7 Siena – Laboratorio Sanità Pubblica – Agenti Fisici.
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[Tratto da Punto Sicuro ]

Dossier Stop Pesticidi 2015 – Legambiente

Ottobre 02, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

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Il nuovo rapporto di Legambiente sui residui chimici nei prodotti alimentari

In Italia l’uso della chimica in agricoltura è sempre elevato (siamo i primi consumatori europei di fitofarmaci e molecole chimiche per l’agricoltura secondo l’ultimo rapporto Eurostat) ma va rilevato il costante aumento della superficie coltivata con metodo biologico (+23,1% dal 2010 al 2013) e la sempre maggiore diffusione di pratiche agricole alternative e sostenibili.

Nonostante ciò, il quadro che emerge dall’ultimo rapporto “Stop PEsticidi” è tutt’altro che rassicurante: il 42% dei campioni analizzati (su un totale di 7132) risulta contaminato da uno o più sostanze chimiche. Ilmultiresiduo (presenza concomitante di più residui chimici in uno stesso campione alimentare), è salito di cinque punti percentuale dal 2012 al 2014, passando dal 17,1% al 22,4%, con campioni da record: cinque residui nelle mele, otto nelle fragole, quindici nell’uva da tavola, cioè in alimenti dalle ben note proprietà nutrizionali che però finiscono sulle nostre tavole carichi di pesticidi.

Gli studi scientifici hanno ampiamente dimostrato gli effetti che l’uso non sostenibile dei pesticidi produce anche in termini di perdita della biodiversità, riduzione della fertilità del terreno ed accelerazione del fenomeno di erosione dei suoli.

Si è tenuto a Expo 2015 il primo raduno degli ambasciatori del territorio. Un incontro dedicato alla nuova agricoltura italiana composta da piccoli e medi agricoltori e produttori locali che hanno adottato buone pratiche di coltivazione dando vita ad esperienze virtuose sul territorio, promuovendo i mercati locali, la diversificazione e i progetti innovativi di filiera, riconoscendo il valore del suolo e sostenendo lo sviluppo di economie solidali.

All’incontro hanno partecipato, tra gli altri, il Ministro dell’Agricoltura Maurizio MartinaRossella Muroni, direttrice nazionale Legambiente, Lucio Cavazzoni, presidente Alce Nero, Daniela Sciarra, coordinatrice Agricoltura Legambiente,Franco Berrino, Istituto dei Tumori di Milano, Ulrich Veith, Sindaco di Malles,Diego Pagani, Presidente Conapi e Beppe Croce, responsabile Agricoltura Legambiente.

Durante l’incontro Legambiente ha presentato il nuovo rapporto sui residui chimici nei prodotti ortofrutticoli e derivati in commercio in Italia “Stop pesticidi”.

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Solo lo 0,7% dei campioni di prodotti agricoli e derivati analizzati dal laboratori pubblici regionali risultano fuori legge per la presenza di determinate sostanze chimiche oltre il limite permesso o per tracce di sostanze vietate dalla normativa attuale. In Italia l’uso della chimica in agricoltura è sempre elevato (siamo i primi consumatori europei di fitofarmaci e molecole chimiche per l’agricoltura secondo l’ultimo rapporto Eurostat) ma va rilevato il costante aumento della superficie coltivata con metodo biologico (+23,1% dal 2010 al 2013) e la sempre maggiore diffusione di pratiche agricole alternative e sostenibili.

Nonostante ciò, il quadro che emerge dall’ultimo rapporto sul tema presentato oggi a Milano è tutt’altro che rassicurante: il 42% dei campioni analizzati (su un totale di 7132) risulta contaminato da uno o più sostanze chimiche. Il multiresiduo (presenza concomitante di più residui chimici in uno stesso campione alimentare), è salito di cinque punti percentuale dal 2012 al 2014, passando dal 17,1% al 22,4%, con campioni da record: cinque residui nelle mele, otto nelle fragole, quindici nell’uva da tavola, cioè in alimenti dalle ben note proprietà nutrizionali che però finiscono sulle nostre tavole carichi di pesticidi.

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“La normativa vigente  – ha dichiarato la direttrice di Legambiente Rossella Muroni – ha portato nel tempo a controlli più stringenti sull’uso corretto dei pesticidi in agricoltura, tuttavia i piani di controllo dei residui di fitosanitari negli alimenti, predisposti a livello europeo e nazionale, non dedicano la giusta attenzione al fenomeno del multiresiduo e delle sue possibili ripercussioni sulla salute dei consumatori. La normativa infatti, continua a considerare sempre un solo principio attivo, fissandone i limiti come se fosse l’unico a contaminare un prodotto. Come abbiamo visto però, i residui possono essere anche più di dieci e dunque è fondamentale che l’Efsa si attivi per valutare e definire i rischi connessi ai potenziali effetti sinergici sulla salute dei consumatori e degli operatori e quelli sull’ambiente. Anche la legislazione europea (Regulation (EC) No. 396/2005) chiede che nella determinazione del LMR si tenga conto  dei possibili effetti cumulativi, additivi e sinergici tra le sostanze, metodologia che oggi tarda ad essere applicata”.

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Gli studi scientifici hanno ampiamente dimostrato gli effetti che l’uso non sostenibile dei pesticidi produce anche in termini di perdita della biodiversità, riduzione della fertilità del terreno ed accelerazione del fenomeno di erosione dei suoli. Ad esempio, l’uso spropositato di erbicidi a largo spettro per il controllo delle infestanti, quali il ben noto glifosato, lascia i suoli perennemente nudi ed esposti. Proprio sulla questione dell’utilizzo del glifosato si è attivato il Tavolo delle 17 associazioni ambientaliste e dell’agricoltura biologica, di cui Legambiente fa parte, richiedendo ai ministri della salute, dell’ambiente,  delle politiche agricole di intervenire per impedirne definitivamente la produzione, la commercializzazione e l’uso, dopo che lo IARC, l’agenzia per la ricerca sul cancro dell’Oms, lo ha classificato come sicuro cancerogeno per gli animali e fortemente a rischio anche per l’uomo. Il tavolo delle associazioni ha quindi sollecitato il Governo e il Parlamento a intervenire urgentemente per l’applicazione del principio di precauzione e per chiedere alle Regioni di rimuovere il prodotto da tutti i disciplinari di produzione che lo contengono e di escludere da qualsiasi premio nei PSR le aziende che ne facciano uso.

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Fortemente minacciata è anche la salute delle acque, come l’ISPRA ha sottolineato nell’ultimo Rapporto sullo stato delle acque italiane (2013), che ha rilevato la presenza in acque superficiali e sotterranee di 175 diverse sostanze chimiche, erbicidi in primis, con il glifosato in testa, seguito da fungicidi e insetticidi. A fare le spese del largo ricorso alla chimica di sintesi per usi agricoli è anche la biodiversità. Si pensi alla moria di api senza precedenti, che negli anni scorsi ha portato a puntare l’indice contro i neonicotinoidi – thiamethoxam, clothianidin e imidacloprid – gli antiparassitari usati per la concia delle sementi di mais, di cui in Italia ad oggi è sospeso l’utilizzo.

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I risultati dell’indagine.

Nel 2014 i laboratori pubblici, accreditati per il controllo ufficiale dei residui di fitosanitari negli alimenti, hanno analizzato 7132 campioni tra prodotti ortofrutticoli, prodotti derivati e miele.

La percentuale di campioni irregolari si attesta sullo 0,7% (era 0,6% del 2012). Rispetto al 2012 la percentuale di campioni regolari e privi di alcun residuo di pesticida è scesa dal 64% al 58%, un ribasso che è legato al corrispondente incremento, fino al 42%, della percentuale di campioni regolari ma contenenti almeno un residuo. In definitiva, quasi un campione analizzato su due contiene uno o più residui di pesticidi, compresi casi di veri e propri cocktail di sostanze attive rilevate in uno stesso campione. Nel dettaglio, il 18,8% dei campioni presenta un solo residuo di pesticida, mentre il 22,4% dei campioni analizzati (rispetto al 17,15% del 2012), rientra nella categoria del multiresiduo. In quest’ultima è la frutta a mostrare le concentrazioni più rilevanti: sul totale dei campioni analizzati per questa matrice alimentare, circa il 43,3% contiene due o più residui chimici.

Le sostanze attive più frequentemente rilevate sono ancora oggi il Boscalid, il Captano, il Clorpirifos, il Fosmet, il Metalaxil, l’Imidacloprid, il Dimetoato, l’Iprodione, che si rintracciano nelle matrici alimentari e nei loro prodotti derivati spesso associate a creare preoccupanti combinazioni, i cui effetti sinergici sulla salute dell’uomo e sull’ambiente sono ad ora terreno di studio poco battuto.

Il laboratorio di analisi della Provincia di Bolzano (che come tutti gli altri, esamina campioni di prodotti in commercio, non solo prodotti localmente) rileva residui di sostanze attive in quasi metà dei campioni (45%), con alcuni casi eclatanti: otto residui in un campione di fragole locali (Pirimetanil, Piraclostrobin, Fenhexamid, Azossistrobina, Quinoxifen, Fludioxonil, Ciprodinil, Boscalid) e un campione di uva da vino, dove insieme al Captano, peraltro non autorizzato nella specifica coltura (il campione infatti è in realtà conteggiato nelle irregolarità), sono stati riscontrati anche Ciprodinil, Zoxamide, Spiroxamina, Metrafenone, Fludioxonil, Metossifenozide, Tetraconazolo. Ma il dato rilevante è che su 37 vini analizzati, 24 contengono una media di 3 o 4 residui di fitofarmaci, con punte fino a 8 residui in un vino DOC di produzione locale(Fenhexamid, Metalaxyl, Boscalid, Dimetomorf, Fludioxonil, Pirimetanil, Iprovalicarb, Ciprodinil).

Situazione analoga, per ciò che riguarda il comparto vinicolo, in Friuli Venezia Giulia, dove in un campione di vino sono stati rilevati fino a sette residui(Fenexamid, Boscalid, Cyprodinil, Dimetomorf, Indoxacarb, Pirimetanil e Metalaxil), e quasi metà dei campioni di frutta analizzati con multiresiduo. Anche la Puglia registra campioni da record, soprattutto nelle uve: un campione di uva contiene 15 diverse sostanze attive (ma non è stato fornito il dettaglio delle sostanze) e sono stati rintracciati picchi di 8 e 9 sostanze chimiche diverse, rispettivamente, in un campione di fragole e uno di pere.

Cocktail di sostanze attive si trovano anche in Liguria in produzioni tipiche quali un campione di basilico di produzione locale ligure con  sette residui (Dimetomorf, Fluopicolide, Piraclostrobin, Spinosad, Imidacloprid, Spinosin D, Spinosin A), mentre un campione di mele di provenienza extraregionale risulta regolare ma con sei diversi residui chimici, tra cui il Boscalid e il Clorpirifos.

L’Emilia Romagna ha rilevato 11 non conformità, di cui 5 in campioni di pere, clementine e uva da vino trattate con sostanze attive non più autorizzate in Italia per queste colture, mentre le restanti irregolarità riguardano il superamento dell’LMR stabilito per Dimetoato e Clorpirifos Etile rispettivamente su finocchi, fagiolini, funghi e sulle bietole. Tredici irregolarità, ma su un numero di campionature molto elevate, sono state registrate in Puglia, su campioni di clementine, carciofi, rape, pomodori, pesche, bietole, lattuga, uva, pesto e su campioni di melagrana e ciliegie provenienti dalla Turchia, in tutti i casi per superamento dei limiti massimi consentiti per legge.

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L’esposizione ai pesticidi, assunti con il cibo è sicuramente più bassa rispetto ad altri tipi di esposizione, come ad esempio quella diretta dei lavoratori agricoli. Ma gli studi scientifici dimostrano che i pesticidi possono produrre effetti negativi sulla salute anche a basse dosi. Poiché manca ancora oggi una piena conoscenza dei loro meccanismi d’azione e interazione, la ricerca scientifica deve proseguire, sostenuta da un maggiore investimento. Nel frattempo, dovrebbe essere applicato il principio di precauzione per garantire la tutela della salute dei consumatori.

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Oggi l’agricoltura italiana sta compiendo diversi sforzi nella direzione di un uso sostenibile dei pesticidi. Il miglioramento che si registra è sostenuto soprattutto da quella fetta crescente di agricoltori che rivolgono lo sguardo al biologico, oggi non più un mercato di nicchia ma un comparto produttivo e competitivo, il cui fatturato si attesta sui tre miliardi di euro. Lo evidenziano i dati presentati dal Sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica del Mipaaf (Sinab), secondo cui la superficie agricola coltivata a biologico ha raggiunto il 10,8% della superficie agricola utilizzata totale e il settore ha registrato un incremento del 5,8% del numero di operatori certificati rispetto al 2013. La strada da percorrere è quindi già definita, occorre però che sia sostenuta da un solido impianto normativo che incentivi con misure concrete e premialità chi pratica biologico, biodinamico e contribuisce alla diffusione dei principi dell’agroecologia. A tal proposito, l’adozione di un Piano d’Azione Nazionale per il biologico che tra le misure quantifichi il traguardo da raggiungere, almeno raddoppiando entro il 2020 la superficie coltivata a biologico, è un obiettivo da non mancare.

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Buone pratiche agricole, come la rotazione colturale, il sovescio e tecniche di lavorazione del terreno a minor impatto ambientale contribuiscono a mantenere i suoli sani e fertili, a preservarli dall’erosione e ridurre il rischio idrogeologico. Suoli sani inoltre restituiscono prodotti salubri e genuini. Il ripristino e la valorizzazione di queste tecniche agronomiche rappresentano quindi la direttrice su cui condurre l’agricoltura italiana per raggiungere non più procrastinabili obiettivi di sostenibilità. Su questa direttrice, da tempo, si muove la rete degli Ambasciatori del Territorio di Legambiente, che racchiude quasi 150 realtà agricole italiane che producono nel rispetto del patrimonio ambientale, sociale e culturale dei loro territori e che rappresentano un modello di economia sostenibile che già funziona.

 

“Siamo promotori di  imprese agricole, alimentari e di cucineria non solo biologiche, non solo impegnate a curare l’ambiente  e la salute di tutti, ma che promuovono modelli e aprono strade ed opportunità nei loro territori all’insegna di una produzione sana, sostenibile  e innovativa  e ricca di cibo – ha dichiarato il Presidente di Alce Nero Lucio Cavazzoni -. Il cibo è innanzitutto relazione, fra l’agricoltore e l’ambiente , con gli animali, fra l’agricoltore ed i fruitori dei prodotti. Queste ambasce vogliamo portare in giro per l’Italia, vogliamo collegare fra loro per imparare e crescere in una agricoltura di relazione e di equilibrio. Equilibrio ed equità hanno lo stesso etimo. Questa è l‘agricoltura di domani!”

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Tra le buone pratiche segnalate oggi nel corso dell’incontro a Milano, quella dellaAzienda Agricola Angelone Leonardo di  Policoro (MT), che produce frutta e verdura con metodo organico e biodinamico applicando con estremo rigore i criteri di Alex Podolinsky, uno dei massimi esperti europei di agricoltura biodinamica, nella produzione di preparati e nella loro conservazione, dinamizzazione, distribuzione e infine nella lavorazione del terreno, ottenendo risultati superiori all’agricoltura convenzionale e a quella biologica.

L’Azienda Agricola Biologica Marco Campobasso di Castellaneta Marina (TA), invece, si distingue oltre che per essere alimentata da un impianto fotovoltaico, per l’allevamento di un insetto utile, il Criptolaemus Montrouzieri, predatore delle cocciniglie, in particolare del Planococcus citri., che consente di attuare interventi tempestivi in campo.  L’Azienda Agricola Cascina di Francia – Moncrivello (VC), sin dall’inizio ha improntato la produzione ortofrutticola secondo criteri rispettosi degli animali e dell’ambiente e nel 2011 ha acquisito la certificazione bio (Icea). Un’azienda relativamente piccola, ma molto diversificata, capofila di altre piccole aziende biologiche che nella zona collinare al confine fra le province di Vercelli e di Torino che hanno costituito l’associazione, A.L.B.A. (Agricoltori Locali Biologici Associati), con regolamenti e disciplinari per garantire ai consumatori il massimo rispetto degli obiettivi e delle normative. Convinta che l’agricoltura è produzione di valori e non solo di cibo, Cascina di Francia inoltre inserisce in azienda persone in difficoltà e in situazioni di svantaggio. Il Consorzio Formicoso Alta Irpinia è tornato a coltivare una varietà storica di frumento duro, il Senatore Cappelli, per produrre semole e pasta di alta qualità. Un disciplinare prescrive la coltivazione del Senatore Cappelli in rotazione con erbai polifiti o con leguminose (favino, cece), senza ricorso a diserbanti o a concimazioni di fondo e di copertura, superflue del resto data l’altezza e rusticità di questo frumento. Alcuni agricoltori hanno anche allevamenti di vacche da latte e seminano, in rotazione col grano, erbai polifiti che consentono di ottenere il Latte Nobile. L’obiettivo comune degli agricoltori del Consorzio, diventati 25 rispetto ai 13 iniziali, è di arrivare a gestire l’intera filiera fino al prodotto finito (paste, latte o formaggio).

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Di seguito, sono riportate le tabelle – riepilogative nazionali e suddivise su base regionale – elaborate in base ai risultati delle analisi di residui di fitofarmaci negli alimenti di origine vegetale e miele per i campioni del 2014. Le analisi sono state effettuate dai laboratori pubblici regionali – Agenzie per la Protezione dell’Ambiente, Asl e Istituti Zooprofilattici Sperimentali – accreditati per i controlli ufficiali dei residui di pesticidi negli alimenti. I campioni sono suddivisi in irregolari (con residui in concentrazione superiore al LMR o per sostanza attiva non autorizzata), regolari senza alcun residuo e regolari con uno o più residui di fitofarmaci entro i limiti stabiliti dalla legge.

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Scarica il dossier stop pesticidi 2015 (.pdf – 1.84 MB)

[ Tratto da Legambiente  Dossier Stop Pesticidi 2015 e Stop pesticidi: il nuovo rapporto di Legambiente sui residui chimici nei prodotti alimentari ]