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Politiche Imprenditoriali , Societarie e Sicurezza
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Archive for Dicembre 21st, 2015

La sicurezza sul lavoro

Dicembre 21, 2015 By: PolissFormazione Category: SICUREZZA SUL LAVORO

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Attenzione! Qui, si dovrebbero applicare determinate normative di sicurezza.

Attenzione! Qui, questi materiali non dovrebbero essere impiegati perché nocivi alla salute.

Attenzione! Qui, i lavoratori non sono sufficientemente qualificati e tecnicamente preparati per svolgere tali mansioni.

Avvertimenti sottovalutati, aggirati, che nel tempo si sono resi tanto vani, da far passare per giusto, quello che giusto proprio non si può considerare come tale. Perché, morire sul posto di lavoro, non è più giustificabile. Morire perché si è preferito accettare condizioni disagevoli pur di lavorare. Morire per colpa di chi poteva fare delle scelte diverse, magari proprio quelle giuste, non permettendo più che tante vite umane, uscite di casa la mattina, non facessero più ritorno.  Questi morti devono pesare sulle coscienze collettive, soprattutto quando, da individui con una propria identità, si sono trasformati in unità statistiche. Non più persone ma numeri. Numeri seriali di matrici, che ogni anno, entrano a far parte di trend statistici con il nome di morti bianche. E questo, è stato evidenziato dai dati elaborati dall’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre, che con l’ausilio anche di fonti Inail, continuano a registrare un aumento delle morti bianche. Ad agosto 2015 la percentuale di decessi sul lavoro si è attestata sull’11,7%. Dei quali, 546 rilevati nei soli primi otto mesi dell’anno. E in un solo mese (luglio 2015-agosto 2015), si è passati dal 9,5% all’11,7%.  Dati del tutto poco edificanti che non lasciano in alcun modo capire cosa realmente spinge, la classe dirigente, a disinteressarsi della sicurezza sul lavoro, rendendosi colpevoli del più grave dei reati: l’omissione. Un’omissione imputabile proprio ai datori di lavoro che, troppo spesso, chiudono gli occhi e aggirano le leggi, quando è invece richiesta loro una preventiva conoscenza di tutte le disposizioni normative. Non solo quindi poteri direttivi e incolumità. Oggi, più che in passato, è richiesto un forte senso di responsabilità, di valutazione di tutti i rischi, per garantire quella sicurezza e quel benessere psico-fisico dovuto ai propri lavoratori.  E’ quindi compito primario dei vertici dotarsi di una rete organizzativa e di gestione, in grado di assolvere tutti i compiti previsti dalla legge in materia di sicurezza, la cui elusione è penalmente perseguibile. Una legge, o come sosteneva il sociologo Durkheim, una regola, deve potersi elevare sopra di tutto e di tutti, ed essere presa come maniera di agire obbligatoria, svincolata dal libero arbitrio del singolo individuo. La regola deve applicarsi, così com’è, lì dove è richiesta. Ed è proprio su questo punto, che ci si dovrebbe maggiormente soffermare a mio avviso, ponendo la giusta attenzione sul percorso che porta dalla conoscenza delle normative alla loro indiscussa applicazione. Anche se è dovere di ogni cittadino conoscere le leggi vigenti in ogni settore, sarebbe giusto, vista la dilagante situazione omissiva in cui viviamo, che strutture ed enti predisposti si adoperino al fine di far conoscere agli interessati le normative loro riguardanti. Prendiamo, come caso esplicativo, il D.Lgs 9/04/2008 n.81 e il D.Lgs 4/12/1992 n. 475, sui dispositivi di protezione individuali (D.P.I.). In questi due decreti si fa riferimento a tutta l’attrezzatura destinata a essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo da tutti quei rischi che ne minacciano la sicurezza o la salute durante la giornata lavorativa. Ma pur esistendo in merito un’ampia normativa, Andrea Di Maso (scrittore, opinionista, imprenditore), in una sua analisi sul fenomeno, dichiara che motivi di carattere psicologico e sociologico impediscono l’applicazione dei D.P.I., ritenuti superflui e di intralcio. Semplici guanti di protezione non si utilizzano perché per molti ridurrebbero la sensibilità tattile e la capacità manuale (aspetti psicologici). Mentre il goliardico senso di appartenenza al gruppo, ritiene più abili e capaci, coloro i quali non abbiano in alcun modo bisogno di eccessivi dispositivi di protezione, perché in grado di svolgere i loro compiti senza margini di errore (aspetti sociologici). E’ bene quindi, per non cadere in queste erronee considerazioni valutative, sensibilizzare, il più possibile, tutto l’organico lavorativo, investendo tempo e risorse su quella che sempre più ciclicamente dovrebbe entrare a far parte di una corretta crescita aziendale: la formazione. Da statistiche nazionali, si evince che, il 10% degli infortuni avviene per cause tecniche e strutturali, mentre il 90% è causato dal comportamento inappropriato dei singoli individui. Ed è per questa ragione che è diventata di fondamentale importanza la formazione preventiva, da applicarsi prima che al lavoratore si assegni un certo lavoro o prima che abbia luogo un suo cambiamento di mansione.  Sarà quindi obbligo da parte del datore di lavoro, come prevedono gli articoli 36 e 37, assicurare che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente in materia di sicurezza e salute, nonché una altrettanto adeguata formazione sui rischi e pericoli esistenti all’interno dei luoghi di lavoro stessi. In questo modo il singolo lavoratore diventerà un soggetto beneficiario attivo, consapevole per legge di tutti i suoi diritti.

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 Dott.ssa Tania Nardi  

I social network e l’attività cerebrale.

Dicembre 21, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

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Nei due articoli precedenti si è cercato di analizzare su larga scala quanto, l’imponente diffusione delle nuove tecnologie, abbia modificato il comune vivere quotidiano, generando quello che ormai è per tutti, un mutamento di proporzioni planetarie.  Qui di seguito, si cercherà invece, di restringere il campo analitico, avanzando una tesi più specifica del problema, che interesserà il solo aspetto cognitivo recettivo. Sì, perché in questa tumultuosa rivoluzione tecnologica a essere in primo luogo interessato, e ampiamente sollecitato, è il nostro cervello, quotidianamente e costantemente sottoposto a un flusso ininterrotto di dati. Messaggi, foto, informazioni, tutti imput che senza alcun filtro, dall’esterno ci arrivano diretti al nostro cervello, che come una black-box, incamera e ci restituisce, senza farci comprendere cosa però all’interno sia realmente accaduto. Domande quindi su come Internet ci stia modificando, sono oggettivamente giuste: ci migliora o ci peggiora?. Ci aiuta e supporta nella vita quotidiana, o ci rende succubi?. Interrogativi questi che, sin dai primissimi istanti, hanno generato allarmismi di vario tipo, dai quali però studi e analisi di settore, hanno ben presto preso le distanze, per valutare il fenomeno in modo molto più adeguato. Molti sono stati gli studiosi che, al riguardo, hanno apportato un ventaglio d’innumerevoli analisi. Analisi che, nel mondo scientifico e non, hanno generato due nette e distinte correnti di pensiero: chi esalta lo sviluppo e la diffusione di Internet, e chi li ritiene la causa principale di molte problematiche. Al primo gruppo appartiene lo scrittore e studioso statunitense Nicholas Carr, il quale si pone una semplice domanda: “What the Internet doing your brains?”. Quali modifiche, quali migliorie o danni, causa sul cervello l’utilizzo di Internet?. Una domanda basilare, ma di sicuro quanto mai efficace per intraprendere un’analisi che ha come obiettivo finale, quello di studiare come il nostro modo di pensare, elaborare e rispondere sia stato modificato dall’impiego delle nuove tecnologie nella vita quotidiana.

Carr parte dall’asserzione Neuroscientifica di Plasticità Cerebrale, nella quale si sostiene che sia una potenzialità del cervello variare le sue caratteristiche in funzioni di stimoli esterni.  Infatti, è stato dimostrato che, il cervello di un’analfabeta è strutturalmente diverso da quello degli alfabetizzati. Ed è proprio su questo postulato che Carr teorizza una sua ipotesi: “ Se il saper leggere e scrivere, può modificare le nostre potenzialità cerebrali, si suppone che anche l’utilizzo di supporti tecnologici, possano modificare alcuni aspetti ”. Il punto focale ora è quello di stabilire quali possano essere stati nel corso degli anni queste modifiche che, a parere del nostro studioso, non sono positive. Carr, infatti, sostiene che mentre il processo che porta all’alfabetizzazione è un processo costruttivo, lento e continuo, i sistemi digitali ci forniscono solo un linguaggio già impostato e prefigurato che noi dobbiamo solo utilizzare senza conoscerne le strutture e le regole sottostanti. Ogni giorno siamo bersagliati da una valanga d’informazioni tecnologiche, sulle quali non abbiamo né tempo di soffermarci, né di rifletterci, facendo cadere ai minimi livelli le capacità di concentrazione. Quest’ultima molto diffusa tra le nuove generazioni che, però, conquistano il primato di Multitasking: attività che ci permette di oltrepassare la monodimensionalità (Herbert Marcus “L’uomo a una dimensione”) e di aprirsi alla multiprocessualità.  Con la velocità di un click, sembra che si possa conquistare una libertà, tale da essere ovunque ed evitare la dittatura in se stessi (Michele Nigro). La nostra attenzione salta costantemente, da un’informazione all’altra, da un’attività all’altra, non lasciando al cervello tempi di riposo per codificare elaborare e apprendere. Sta quindi radicalmente cambiando proprio il modo di memorizzare, che non richiede più di registrare, annotare o imparare, perché in nostro aiuto arrivano sistemi operativi come Google che, in real time, ci fanno in ogni luogo e in ogni momento recuperare l’informazione. Questi supporti sono stati definiti come protesi della memoria collettiva.

Più moderata è invece l’opinione del professor Paolo Ferri (docente di Teoria e tecniche dei nuovi media) che, non sentenziando se quello che sta accadendo sia un bene o un male, parla di come i supporti tecnologici, impiegati nei settori dell’apprendimento, stiano aprendo nuove frontiere conoscitive. Da studi effettuati nel campo della Neurofisiologia e delle Neuroscienze, si è scoperto che l’attività cerebrale è stata profondamente modificata dall’utilizzo dei sistemi digitali. Un bambino che legge sul computer, attiverà aree neurali del tutto diverse da chi legge sulla carta o da chi gioca con i videogiochi. Al riguardo è stata realizzata un’analisi su di un campione di giovani che utilizzano social-networks, sui quali sono stati rilevati aumenti della materia grigia e bianca, nel momento in cui sono stati sottoposti a test diagnostici come la Pet (tomografia ed emissione di positroni) e la RNM (risonanza magnetica nucleare). Una scoperta questa che con indubbia certezza ci assicura quanto il nostro cervello si stia modificando, ma non in quale direzione. Attraverso l’interazione con l’ambiente esterno le connessioni sinaptiche, stimolate in un certo modo, iniziano a modificarsi. Quelle usate di rado s’indeboliscono fino a scomparire, mentre quelle utili si rafforzano. E questo processo è attivo per tutto l’arco della nostra vita (Fisher 2007). Migliorie, quindi, scientificamente comprovate, che sempre più ci portano a parlare di una nuova diffusa tipologia d’intelligenza: l’Intelligenza Digitale. Un’intelligenza puramente pratico-reattiva, non teorica analitica, che sempre più, ci rende utilizzatori, ma non conoscitori dei sistemi operativi.

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Dott.ssa Tania Nardi

La nuova generazione: Digital Native.

Dicembre 21, 2015 By: PolissFormazione Category: SOCIALE

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Che le nuove tecnologie abbiano apportato a livello globale grandi cambiamenti, è sicuramente un dato di fatto sul quale non ci piove. La questione è ora comprendere gli effetti causati dal loro diffondersi. Al riguardo mi piacerebbe menzionare un’indagine statistica effettuata dal Telefono Azzurro e Doxa nel 2014 su di un campione statistico di 1500 ragazzi di tutta Italia (48% ragazze e 52% ragazzi) di età compresa tra gli 11 e i 18 anni, nella quale si può ben apprezzare il trend di diffusione e utilizzo, della tecnologia, tra le nuove generazioni: quasi la totalità del campione, l’89,7%, possiede uno smartphone con accesso a internet, il 61% ascolta la radio, il 60,2% guarda dei video, il 58,3% fa ricerche per la scuola, il 57,3% curiosa nel web, il 22% fa acquisti. Da questi dati, si può chiaramente evincere come le giovani generazioni crescano immerse in questa nuova realtà tecnologica che è ormai datagli non come scelta, ma piuttosto come condizione di vita dalla quale è difficile esimersi. Sì, perché Internet, è per molti in primo luogo un Social Media. Una finestra sul mondo, per vedere ed essere visti. E la visibilità è uno status che si raggiunge giornalmente, grazie al numero di amici o di followers. Pensiamo a quando, solo un decennio fa, dopo aver comprato per esempio un paio di scarpe nuove, chiedevamo a una persona di nostra fiducia che stimavamo, come la migliore amica, come ci stessero e se con quelle raggiungevamo un certo grado di consenso collettivo. Oggi, invece, ci affidiamo al giudizio di emeriti sconosciuti, postando su qualche social network, foto sulle quali aspettiamo, trepidanti, giudizi possibilmente positivi. Questo, è uno dei tanti modi in cui si stanno utilizzando le nuove tecnologie, in grado di modificare il modo di apprendere, leggere e condividere. Un non-luogo in cui il dialogo è diventato polifonico, e dove tutti, da utenti passivi, sono diventati attivi interlocutori. La parola serve sempre più spesso per esprimere la propria idea, per raccontarsi e farsi conoscere.

Gli adolescenti di oggi sono stati definiti Nativi Digitali (Digital Nativ), etichettando con tale appellativo tutti i soggetti abituati sin da sempre a utilizzare nella vita quotidiana le nuove tecnologie per giocare, comunicare, imparare. A questa categoria si contrappongono gli Immigrati Digitali (Digital Immigrants), soggetti già adulti quando si sono diffuse le nuove tecnologie. Sembra quindi naturale per le nuove generazioni padroneggiare concetti come Internet, Facebook o WhatsApp, ma da una ricerca dell’Università di Milano Bicocca, sembra emergere una realtà del tutto opposta e diversa. I nuovi adolescenti usano questi “dispositivi sociali” meccanicamente, senza sapere su di essi nessuna nozione tecnica. Ecco perché, è del tutto erroneo, investire le nuove generazioni di capacità digitali che non gli competono. La loro bravura sembrerebbe solo di spingere icone. Non hanno alcuna competenza tecnologica, e non conosco affatto, i meccanismi che si trovano dietro i sistemi informatizzati che utilizzano.

Sono a tal proposito molto indicativi i dati rilevati da un’indagine di mercato effettuata nel 2013, nella quale si rileva che siano stati venduti, nel mondo, 80 milioni di PC (8,6% in meno rispetto ad un anno prima) contro 250 milioni di smartphone. Questo sta accadendo perché il PC, con tutte le sue periferiche e le sue parti hardware e software, sta diventato troppo difficile da gestire, proprio dai così definiti nativi digitali. Per loro, il circoscritto rettangolo chiuso dello smartphone, è sufficiente.

 

Dott.ssa Tania Nardi 

L’impatto delle nuove tecnologie sulla nostra società.

Dicembre 21, 2015 By: PolissFormazione Category: SOCIALE

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Iphone, tablet, connessione internet illimitata. Identità, gruppo, appartenenza. Spazio e tempo. Nuove potenziali diverse identità, generate tutte dal diffondersi sempre più dilagante, di quelle che sono state definite come le nuove tecnologie della società moderna.

Mischiare tutti questi elementi non può che generare grandi cambiamenti. Cambiamenti che, nel bene e nel male, hanno portato a quella che è stata definita come la nuova società della comunicazione. Una società nella quale le nuove tecnologie la fanno da padrona, dove nessun luogo e nessuna interazione sociale è pensabile senza la loro presenza e fruizione.

Le identità personali, un tempo caratterizzanti l’unicità del singolo individuo, sembrano oggi sminuirsi e perdersi senza che la loro identificazione passi attraverso internet, wattsup, facebook, twitter, instangram etc. Senza questi social networks non siamo raggiungibili, e spesso neanche riconoscibili, perché, più del nostro stesso nome sembra valere il nostro nickname. Guai quindi a coloro i quali si tirano fuori da questi clichè sociali, senza i quali l’appartenenza ad un gruppo o ad un’associazione sembra essere impensabile.

I nuovi strumenti tecnologici, se inizialmente si sono imposti esteriormente come vere e proprie appendici fisiche del nostro corpo, oggi si stanno piano piano appropriando del nostro essere interiore, modificando quelle che sono state le nostre identità. Le stanno plasmando, manipolando, e se vogliamo anche spersonalizzando, fino ad arrivare a quel livellamento generale dove tutti stiamo diventando uguali. Uguali in questa patina esteriore, che ci accomuna e che svilisce il nostro particolarismo.

Se è vero, come dissero sociologi del calibro di Mc Luhan, che il mezzo comunicativo plasma il modo di percepire e pensare il mondo, oggi ci troviamo di fronte ad una rivoluzione planetaria, dove i significati di tempo e spazio si sono del tutto modificati nel profondo. Il tempo è rapido, quasi istantaneo. In pochi secondi si è connessi e si possono raggiungere visivamente e comunicativamente persone e paesi lontanissimi. Tutto questo grazie anche alla despazializzazione dei luoghi che smolecolarizzandosi si riedificano in quello che è diventato il non luogo per eccellenza: il cyber spazio

E’ importante quindi vedere ora come questi cambiamenti tecnologici hardware abbiano influito, modificato, ed influenzato, l’ aspetto software dell’individuo: la sua personalità. Sì, perché, dopo aver comprato materialmente l’ultimo modello di cellulare, bisogna vedere e capire come questo influirà sul comportamento ed il modo di relazionarsi del singolo. Avere oggi un cellulare con una connessione illimitata, ci porta in ogni istante e in ogni luogo, acomunicare con chi si trova in altri contesti piuttosto che con chi ci siede di fronte. Perdiamo il senso del presente e del momento, proiettandoci in un contesto perpetuamente futuristico di qualcosa o qualcuno che raggiungeremo o incontreremo più in là. Sembra un diffuso comportamento di tutti quello di sfuggire il presente. Sediamo su di un treno ma non siamo ne fisicamente ne mentalmente lì. Come se quel luogo non ci appartenesse. E’ per noi solo un mezzo di trasporto con connessione. Un luogo dove despazializzarsi e assentarsi, rimanendo solo un corpo che occupa momentaneamente uno spazio. Ed è questo quello che è riuscito a cogliere con i suoi scatti, il fotografo francese Antoine Geiger (figura 1), rappresentando, acutamente e sapientemente, quel fascio di dati, immagini e parole che ci risucchiano nei nostri schermi digitali. Oppure come gli scatti del fotografo italiano Max Cavallari (figura 2), che ha preferito immortalarci in luoghi quotidiani, come nelle metropolitane, in cui ci estraniamo completamente creando intorno a noi vuoti affollati.

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(Figura 2: Max Cavallari)

I luoghi non vengono più vissuti nella loro tridimensionalità, nel momento stesso in cui ci si sosta. E le possibilità di vivere nuovi scenari nei quali conoscere ed instaurare nuove relazioni sono azzerate a causa della presenza di facebook. Ci risulta molto più interessante connetterci e andare a vedere l’ultima foto postata, piuttosto che vedere dal vivo con i nostri occhi, i paesaggi circostanti. Ed è meglio chattare che fermarsi in un luogo a parlare. Questo è il livello al quale siamo arrivati. Magari senza accorgersene. Ma le nuove tecnologie, che sono indubbiamente efficienti ed efficaci, hanno riscritto le regole della comunicazione. Una comunicazione in cui la parola, ad esempio, fondamento di ogni tipo di interazione comunicativa, si è andata svuotando della sua espressività, senza la quale si può cadere facilmente nella sterilità e nel piattume. Ma c’è chi ribatte asserendo che a questa mancanza dialettica si può ovviare con una ampia interfaccia di faccine e punteggiatura.

Dott.ssa Tania Nardi

Inail – Conferenza Regioni – Ministero della Salute – Salute e sicurezza sul lavoro: accordo quadro tra Inail, Ministero Salute e Conferenza Regioni

Dicembre 21, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

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Salute e sicurezza sul lavoro: accordo quadro tra Inail, Ministero Salute e Conferenza Regioni

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Roma, 16 dicembre ’15 (comunicato stampa).
Il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Sergio Chiamparino, e il Presidente dell’Inail, Massimo De Felice, hanno sottoscritto nei giorni scorsi un accordo quadro di collaborazione di durata quinquennale, che prevede la realizzazione di iniziative congiunte volte a promuovere la salute e la sicurezza sul lavoro.
La collaborazione oggetto dell’accordo ha come obiettivo:
  • l’individuazione di percorsi di prevenzione basati su obiettivi prioritari comuni e metodologicamente condivisi a livello centrale, regionale e locale, supportati da strategie e azioni ‘evidence based’ e caratterizzati da interventi sostenibili e misurabili in termini di processo e di risultato;
  • lo sviluppo e il consolidamento di sistemi informativi/gestionali e di sorveglianza su una serie di temi prioritari tra Inail, Regioni e Province autonome, e la relativa fruibilità delle rispettive banche dati;
  • il supporto tecnico alla redazione e alla realizzazione dei Piani nazionali di prevenzione e dei Piani nazionali e regionali di settore che ne derivano, e al monitoraggio dei risultati ottenuti;
  • metodologie e strumenti destinati al miglioramento dei livelli di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Le attività previste dall’accordo quadro saranno svolte, in particolare, attraverso un Comitato di coordinamento paritetico composto da sei rappresentanti, di cui uno in rappresentanza del ministero della Salute, tre in rappresentanza delle Regioni e Province autonome e due in rappresentanza dell’Inail. Alle riunioni del Comitato potranno inoltre partecipare esperti in grado di fornire il loro apporto professionale su specifici argomenti, contribuendo al buon andamento dei lavori.
Inail: 06/54872356
Conferenza delle Regioni: 06/488829200-253
Ministero della Salute: 06/59945397-5289-5320
[Tratto da: Regioni.it ]

INAIL – Premio “Imprese per la sicurezza”, iscrizioni aperte fino al 14 gennaio

Dicembre 21, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

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Il concorso, giunto alla quarta edizione, è indetto da Inail e Confindustria, con la collaborazione tecnica di Apqi e Accredia, per promuovere la diffusione della cultura della prevenzione in tutto il sistema produttivo, valorizzando l’impegno delle aziende che si distinguono per interventi concreti e risultati ottenuti

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ROMA – Scade il prossimo 14 gennaio il termine per la presentazione delle candidature alla quarta edizione del Premio “Imprese per la sicurezza”, il concorso indetto da Inail e Confindustria per promuovere la diffusione della cultura della prevenzione in tutto il sistema produttivo italiano, valorizzando l’impegno delle aziende che più di altre si distinguono per interventi concreti e risultati ottenuti.

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Sono ripartite per tipo di rischio e dimensione. Realizzato con la collaborazione tecnica di Apqi (Associazione premio qualità Italia) e Accredia, il concorso è indirizzato a tutte le aziende produttrici di beni e servizi, comprese quelle non appartenenti al sistema Confindustria, che possono partecipare per le differenti categorie in cui è suddiviso il premio, ripartite per tipologia di rischio (alto o medio-basso) e per dimensione aziendale (fino a 50 dipendenti, da 51 a 250 e oltre 250).

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La cerimonia finale si svolgerà in aprile. I premi, che consistono in onorificenze simboliche consegnate ai vincitori nel corso di una cerimonia che si svolgerà nel mese di aprile, saranno assegnati per ogni categoria in funzione del punteggio ottenuto, fino a un massimo di mille punti: gli Award alle imprese con un punteggio maggiore di 600 punti e i Prize a quelle con un punteggio superiore a 500. Sono previste, inoltre, menzioni per le aziende che hanno sviluppato progetti specifici per la salute e la sicurezza, per esempio in tema di formazione/informazione dei lavoratori, gestione degli appalti/subappalti, o per altre iniziative innovative.

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Con i questionari online un check-up della situazione aziendale.Come previsto dal regolamento del concorso, è possibile partecipare compilando, entro il 14 gennaio 2016, il modulo di registrazione e procedendo con la compilazione online di alcuni questionari, uno strumento di autovalutazione per conoscere tutte le informazioni disponibili su salute e sicurezza, su cui sarà chiamato a esprimersi un comitato tecnico-scientifico. Attraverso la compilazione dei questionari, le imprese avranno anche l’opportunità di effettuare un check-up approfondito sulla propria situazione. Alla fine del processo valutativo, infatti, ogni azienda riceverà un report contenente il proprio posizionamento rispetto alle altre partecipanti, con l’indicazione delle aree di forza e di quelle in cui sono possibili miglioramenti.

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Un iter in tre fasi. Come per le precedenti edizioni, dopo la prima fase di compilazione dei questionari, alle aziende che hanno ottenuto i punteggi più alti sarà chiesto di procedere alla stesura di una application guidata, ovvero un documento nel quale devono essere descritti sia gli approcci utilizzati per la gestione della sicurezza sia i risultati ottenuti. La terza e ultima fase sarà costituita dalla visita in loco di uno staff di valutatori, composto da professionisti di Inail, Confindustria, Apqi e Accredia, che determinerà l’assegnazione del punteggio finale. Le imprese finaliste potranno richiedere una riduzione del tasso di premio Inail compilando il modello OT24, secondo le modalità indicate sul portale dell’Istituto.

[Tratto da: INAIL ]