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Salute e sicurezza sul lavoro: l’abbigliamento protettivo può salvare la vita

Maggio 06, 2017 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Nel mondo milioni di persone mettono a rischio la propria salute sul luogo di lavoro. Secondo le stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ogni giorno nel mondo 6.000 persone muoiono a causa di infortuni o malattie professionali. Per focalizzare l’attenzione su questo tema, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha istituito la “Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro”, celebrata per la quindicesima volta il 28 aprile 2017.

La Legge sulla sicurezza del lavoro: una conquista

I pericoli sul luogo di lavoro sono molteplici: acidi, calore, fiamme e scintille, corrente elettrica, cariche statiche e sollecitazioni meccaniche. Ma anche lo stress psichico – scatenato dalla fretta o dalla paura di perdere il posto di lavoro – è un fattore di rischio che riveste sempre maggiore importanza. La tutela del lavoro in Italia ha radici piuttosto antiche: già a metà degli anni Cinquanta era stato introdotto un  “Corpus normativo precauzionale”, poi integrato nel tempo col D. Lgs. 626 del 1994 e sostituito definitivamente dal T.U. nr. 81 del 2009, tutte normative finalizzate alla tutela e al miglioramento della salute dei lavoratori.

Obbligo di legge: la valutazione dei rischi

Secondo la legge sulla sicurezza del lavoro, tutti i pericoli esistenti all’interno di un’azienda devono essere analizzati e documentati nella valutazione dei rischi. Per ogni rischio registrato devono essere indicate misure adeguate a ridurre o eliminare il rischio. Le misure sono suddivise in tre categorie:

  • misure di sicurezza tecniche (p. es. sportelli di protezione sui macchinari)
  • misure di sicurezza organizzative (p. es. formazione dei dipendenti)
  • misure individuali (p. es. abbigliamento protettivo)

L’approccio corretto in materia di abbigliamento protettivo

L’abbigliamento protettivo può tutelare la salute e persino salvare la vita. Per questo è assolutamente necessario che siano considerati  questi aspetti:

  • L’abbigliamento protettivo deve essere specificatamente progettato per i rischi presenti sul luogo di lavoro.
  • I dipendenti devono essere informati sul proprio abbigliamento protettivo e devono indossarlo/utilizzarlo in modo corretto.
  • L’abbigliamento protettivo deve essere lavato e conservato secondo la normativa vigente.
  • Qualsiasi modifica apportata all’abbigliamento protettivo deve essere eseguita in conformità alla normativa vigente.

Dove si può trovare assistenza?

Dato che il tema “abbigliamento protettivo” è molto complesso e dispendioso, è consigliabile ricorrere all’assistenza di consulenti, come i tecnici per la sicurezza sul luogo di lavoro o gli esperti in prevenzione delle associazioni di categoria. I fornitori di servizi tessili aiutano nella scelta e nella cura dell’abbigliamento protettivo adatto. “Offriamo consulenza e test di prova per indossare i capi prima dell’utilizzo”, spiega Silvia Mertens, ingegnere specializzato in abbigliamento tecnico e consulente tecnico per l’abbigliamento protettivo presso Mewa, fornitore di servizi tessili di Wiesbaden. “Con il nostro sistema di servizi– lavaggio, manutenzione e sostituzione dell’abbigliamento protettivo –  aiutiamo a garantire la conformità alle norme UE e DIN, per la protezione dei dipendenti e lo snellimento delle procedure aziendali”.

SICUREZZA SUL LAVORO: PRINCIPIO DI AUTORESPONSABILITÀ E COMPORTAMENTO ABNORME DEL LAVORATORE

Maggio 06, 2017 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Grande dinamismo dimostra avere in questo periodo la giurisprudenza riguardante gli infortuni sul lavoro, con particolare riguardo al comportamento definito “abnorme” del lavoratore. E’ infatti da segnalare che, se da una parte è sempre onere fondamentale gravante sul datore di lavoro quello di formare ed informare il proprio dipendente circa i rischi connessi all’attività lavorativa da svolgere, di fondamentale importanza sta diventando anche il ruolo di quest’ultimo, sempre più parte attiva della realtà lavorativa aziendale, come soggetto titolare di un diritto alla sicurezza, ma anche di un dovere al rispetto della medesima ed alle tutele ivi preposte a garanzia della sua persona.

Davanti ad una contestazione mossa dall’autorità giudiziaria circa la violazione dell’art. 590 c.p., aggravata dal mancato rispetto della normativa concernente la sicurezza sul lavoro, nella valutazione circa i profili di responsabilità datoriale sotto il profilo dell’elemento oggettivo, possono essere formulate diverse osservazioni, soprattutto nel momento in cui vi sia stata una corretta formazione erogata dal datore di lavoro ai propri dipendenti. La nuova ottica dettata dalla giurisprudenza di legittimità più recente impone quindi di valutare diversi profili, considerando non solo l’onere del datore di lavoro di formare i dipendenti, ma anche la conoscenza e consapevolezza degli stessi delle corrette regole di sicurezza, considerando imprevedibile il comportamento del lavoratore che volontariamente violi tali misure di sicurezza predisposte, andando quindi a scindere il nesso causale necessario alla configurazione del reato contestato.

Perché si possa correttamente attribuire un fatto di reato ad un soggetto, è necessario che la valutazione dell’antefatto e dell’evento siano connesse da un rapporto causale, ovvero che l’antefatto sia l’antecedente necessario o altamente probabile dell’accadimento penalmente rilevante ovvero che, attraverso un giudizio ipotetico controfattuale, eliminando l’antecedente causale l’evento non si sarebbe realizzato con certezza o alto grado di probabilità. Va detto comunque che, qualora ci si trovi di fronte ad una contestazione al datore di lavoro circa un comportamento omissivo riguardo la mancata attuazione delle norme di garanzia, non risulta possibile poter affermare con ragionevole grado di probabilità che nel caso di attivazione del DL o suo delegato in applicazione delle norme di prevenzione asseritamente violate, l’infortunio non si sarebbe realizzato, dal momento che l’eventuale azione anomala del lavoratore si è posta come elemento destabilizzante sotto il profilo causale, assolutamente non prevedibile né, come sostiene la più recente giurisprudenza, “prevenibile” dall’imputato-datore di lavoro.

Venendo ora al dibattito giurisprudenziale creatosi in materia risulta opportuno sottolineare quanto segue.

Un primo orientamento, ormai da considerarsi pressoché superato, escludeva che il comportamento del lavoratore infortunato potesse integrare comportamento abnorme o comunque tale da scindere il legame causale quando questo, sebbene caratterizzato da imprudenza o negligenza, rientrasse nelle mansioni che gli erano proprie.

Più di recente la stessa Cassazione, seguendo talune lungimiranti pronunce di merito, è approdata ad una diversa visione, di certo più consona alla struttura stessa del sistema delineato dal T.U. 81/08, basata comunque sul principio dell’autoresponsabilità di tutti i soggetti della sicurezza. In quest’ottica si ricorda la recentissima Cass. Pen. IV, 10/02/2016 n° 8883 che afferma “in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro che, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ha fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore”. Inoltre la Cass. Pen., Sez. IV, sent. 7.09.2015 n° 36040 che parla di “condotta imprevedibilmente colposa” del lavoratore sottolinea: “il sistema della normativa antinfortunistica, si è lentamente trasformato da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro …, ad un modello “collaborativo” in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, normativamente affermato dal Testo Unico della sicurezza…si sono individuati i criteri che consentissero di stabilire se la condotta del lavoratore dovesse risultare appartenente o estranea al processo produttivo o alle mansioni di sua specifica competenza. Si è dunque affermato il concetto di comportamento “esorbitante”, diverso da quello “abnorme” del lavoratore. Il primo riguarda quelle condotte che fuoriescono dall’ambito delle mansioni, ordini, disposizioni impartiti dal datore di lavoro o di chi ne fa le veci, nell’ambito del contesto lavorativo, il secondo, quello, abnorme, … si riferisce a quelle condotte …. che nulla hanno a che vedere con l’attività svolta. La recente normativa (T.U. 2008/81) impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e comunque di agire con diligenza, prudenza e perizia.Le tendenze giurisprudenziali si dirigono anch’esse verso una maggiore considerazione della responsabilità dei lavoratori (cd. “principio di auto responsabilità del lavoratore”). In buona sostanza, si abbandona il criterio esterno delle mansioni e si sostituisce con il parametro della prevedibilità intesa come dominabilità umana del fattore causale”. Conseguentemente un datore di lavoro che ha correttamente curato manutenzione e formazione non può essere ritenuto responsabile di un comportamento non arginabile in quanto consapevole e volontariamente perseguito dal singolo. D’altra parte la giurisprudenza ormai pare consolidata nel riconoscere che “l’ipotesi tipica di comportamento “abnorme” è quella del lavoratore che violi “con consapevolezza” le cautele impostegli, ponendo in essere in tal modo una situazione di pericolo che il datore di lavoro non può prevedere e certamente non può evitare”(Cass. Pen., sez. feriale, sent. 12.08.2010 (dep. 26.08.2010) n° 32357) e che, di conseguenza, “nel campo della sicurezza del lavoro, può escludersi l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore….deve cioè considerarsi abnorme il comportamento che per la sua stranezza ed imprevedibilità si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni…” (Cass. Pen., IV, sentenza 26.01.2011 n° 2606).

Alla luce della giurisprudenza esaminata appare quindi visibile una tendenza innovativa della giurisprudenza di legittimità, ormai recepita anche da diversi Tribunali di merito, ove la figura del datore di lavoro appare ridimensionata nella sua essenza, non avendo più come in passato un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore tanto da poter affermare che, una volta che ha fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione, egli non potrà essere chiamato a rispondere dell’evento derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del proprio dipendente